CAMINO4 e altre storie 1


CAMINO 4 ed altre storie di gente sui cammini.

 

Nei momenti di pausa del servizio di hospitalero ho cominciato un po’ per scherzo a scrivere delle storie brevi, come degli schizzi, di persone incontrate sui cammini.

Non i personaggi abituali di cui tutti parlano e scrivono, i “famosi” che sono in tutte le guide, quelli che spesso vivacchiano all’ombra della loro gloria passata oppure hanno abbandonato i cammini verso altri lidi…ma le persone “normali” che camminano e traspirano, quelli che partono carichi di storie, di problemi e di vita vissuta, ed anche di speranze e di paure.

Durante gli anni di cammini e di servizio come hospitalero ho incontrato, conosciuto, ascoltato e parlato con decine di persone, di ogni tipo e provenienza.

Mi restano poi dei flashback, delle visioni fugaci, dei brevi incontri, ma anche delle amicizie e dei legami duraturi.

Spero di non offendere nessuno, anche se alcuni si riconosceranno, a torto o a ragione.

Ho chiesto il permesso a tutti quelli che ho potuto contattare.

Tutto quello che ho scritto é vero, nel senso che io l’ho vissuto cosi’, ma… come ogni verità é relativa…    anche queste storie sono relative…  ed un pizzico di sapori e di odori non guasta mai !!!

 

Storie intrecciate.

Sui cammini si intrecciano storie di amore e di non amore. Tutti quelli che hanno fatto un cammino lo sanno.

Sui cammini ci si fanno degli amici. E’ un po’ come andare ad una kermesse dove si incontrano decine di persone.

Sui cammini si intrecciano e si sviluppano decine di storie. Non c’é bisogno del sito internet di incontri o di pagine personali virtuali.

Si puo’ fingere di essere un “altro”, anche se poi alla fine la realtà esce fuori, come spesso. Negli albergues dove sono hospitalero lo si vede di frequente.

Persone che si conoscono sul cammino…

persone che si innamorano sul cammino…

persone che si detestano e persone che odiano altre persone…

persone che cercano degli “uditori” o delle “vittime” da torturare durante ore, raccontando vita morte e miracoli della loro propria vita…

persone che mendicano affetto…

persone che cercano compagnia…

persone che prodigano gioia e simpatia…

persone che cercano altre persone….

persone esoteriche che cercano dei segni nelle pietre, sugli alberi, nelle rovine e sugli animali…

persone masochiste che vogliono soffrire, farsi del male…

persone che cercano l’illuminazione o l’iniziazione….

Basta parlare con la gente o ascoltare. I pellegrini vogliono parlare…

Pero’, a volte, passano ore senza dire una sola parola e dopo…il rubinetto si apre… su vicende, qualche volta scabrose e dure ad intendere…

Vogliono scambiare opinioni…tornare a sentirsi socievoli, umani, parte di un qualche cosa. Vedo casi di gente che ha stretto amicizia con persone che a priori erano l’esatto contrario, ma proprio in tutto …

persone che sul cammino dimenticano tutti i loro pregiudizi…e si fanno degli amici e dei compagni…di cammino.

Cosa di più magico potrebbe succedere sui cammini???

Dalla nostra postazione, al bordo dei cammini, noi facciamo il possibile per unire le genti, per fare in modo che si sentano bene, che abbiano uno spazio di convivialità, di riposo sereno, di benessere, uno spazio gradevole per questa comunità in marcia.

Non sempre ci riusciamo…ma ci proviamo.

 

Pellegrini autentici e no.

 Ci sono discussioni formali e spesso anche accanite a proposito di questa questione, e la gente mi chiede se con la mia “esperienza” di hospitalero e di cammini posso rispondere e chiarire le cose.

Allora, dapprima spiego che, anticamente, il pellegrino era colui che partiva da casa, lasciando tutto, per andare verso contrade a lui sconosciute, accettando di provare i suoi limiti e le sue paure…

Poi racconto una storiella che si ripete quasi tutti i giorni in albergue e che é l’indicatore più semplice della situazione odierna:

“Un signor pellegrino mi chiedeva con insistenza di spegnere la luce centrale. Non era neanche tardi, erano le 10,15h in pieno agosto e c’erano ancora persone a tavola, perché normalmente spengo tutto alle 11h.

Ho notato che andava da questi a fare le sue rimostranze perché si sbrigassero.

Allora sono intervenuto dicendogli che : 1) non erano fatti suoi, 2) se ne andasse in branda, 3) la luce la spegnevo alle 23h e la riaccendevo alle 7h per rispettare il sonno di tutti… Quindi che se ne stia tranquillo…..

Questo signor pellegrino mi guarda stupito e mi dice :

“Ma insomma, chi sono questi “pellegrini” che vanno a letto tardi e dormono fino a tardi? sono pellegrini o turisti?”

Rispondo che pellegrini o camminanti, per me non c’é differenza, la luce si accende alle 7 del mattino e si spegne alle 23h”. E me ne vado a fare le mie incombenze.

Il mattino dopo si alza e va dritto al libro dei “ricordi” e vedo che scrive, scrive, scrive…. Quando ha finito, vado a leggere quello che ha scritto e sto zitto (per una volta!)…

Gli altri partivano e lui restava là, voleva sapere se avevo letto le sue parole.

“Eh si, ho letto e lei non ha capito niente. Lei ha reclamato perché le luci non funzionano come vorrebbe lei: estinzione totale alle 22h ed accensione alle 6h. In effetti lei dovrebbe rendersi conto che sui cammini c’é gente differente, che non é una caserma : c’é gente che non vuole camminare al buio e che ha bisogno di dormire per recuperare le forze fino alle 7h od anche alle 8h, che ha abitudini culinarie differenti (come in Spagna o nel sud dell’Italia) e che cena ad ore che possono sembrarle tardive, ma che per loro sono “normali” e poi… siamo in estate!”

In realtà, ce l’aveva con quelli che lui considerava come gente sul cammino senza essere degli autentici pellegrini.

Ho dovuto (e voluto) spiegargli in tutti i modi possibili che si possono trovare pellegrini con credenziale, come altri di buona volontà che sono sul cammino per motivi vari e diversi.

E’ cosi’! Ed é stato cosi’ anche prima e spero che non cambi in futuro!!!

La sua sola risposta é stata che voleva fare un cammino “vero” da pellegrino “vero”.

Per finirla, gli ribadisco che qui si accolgono sia pellegrini che altre persone, semplici camminanti che vogliono conoscere la cultura locale e che spesso si comportano meglio di certi “pellegrini autentici”, rispettando gli altri ed i luoghi dove sono.

Il problema vero é che bisogna rispettare gli altri…

Oppure bisogna classificare gli albergues ed i pellegrini in autentici e no?

E per provare cio’ che sto dicendo, gli chiedo se ha letto da qualche parte che esistano norme scritte che determinano a che ora un pellegrino autentico deve andare in branda o alzarsi al mattino, se deve fare il cammino a piedi o in bicicletta o a cavallo? che vestiti deve indossare e che scarpe calzare…

Se ci mettiamo su questo piano, dovremmo verificare tutto.

Chiederci se la doccia quotidiana nuoce allo spirito pellegrino verace (ho sentito pure questa come verità affermata).

O ancora se si deve andare alla messa tutti i giorni o no… e dotare tutti gli albergues dei “pellegrini autentici” di una cappella per pregare.

Ed ancora raccomandare l’astinenza sessuale e sorvegliare la cosa… ecc. ecc…

Tutto questo per dire che, in fondo, il pellegrino ideale non é mai esistito, che nella comunità in marcia sui cammini c’é sempre del buono e del cattivo, come nell’umanità intera. L’importante é il rispetto degli altri, per gli altri, di sé, anche se non si é d’accordo con la loro maniera di farlo.

Il disprezzo, io lo lascio alle cimici da letto che infestano gli albergues…ed agli integristi portatori di labaro e di dogmi infallibili…..!

 

La minaccia fantasma.

Più che il titolo di un film, é un problema per molti…una bestiolina minacciosa che si cela come un fantasma nelle pieghe dei materassi, negli interstizi dei pavimenti, nelle fodere degli indumenti, persino negli orli e nei taschini….

Una minaccia nascosta che provoca bubboni, eczemi, itterizia, arrossamenti, ponfi, allergie ed infezioni intestinali.

Sono le cimici da letto, chinches, bedbugs, punaises ….

Non si sa bene da dove vengano o se ormai sono stanziali, ma il fatto é che i pellegrini le portano con sé.

Ne ho visti con il corpo divorato da queste bestiole, veramente sgradevole!

Mi ricordo di una pellegrina tedesca dalla pelle bianca letteralmente coperta di punture e di bubboni dolorosi, che era arrivata in albergue al Burgo Ranero con una catalana ed un coreano, anch’essi ben colpiti.

Il coreano lo mandai in ospedale a Leon con l’ambulanza perché aveva i sintomi di chi é stato colpito da infezione intestinale ed era troppo giallo…(??!!)

Le due ragazze erano sconvolte, non sapevano più che fare; dolore ed incomprensione trasparivano sui loro visi, anche perché gli altri avevano la tendenza a isolarle come delle appestate.

Seguendo i consigli di quelli che ne sanno più di me in materia, le ho fatte spogliare… lasciandole in slip e reggiseno, e mettere tutte le loro cose, compresi zaino e scarpe, in due enormi sacchi neri della spazzatura che abbiamo esposto al sole caliente per raggiungere alte temperature, unica soluzione possibile per uccidere le bestiole.

Ce ne sarebbe un’altra : il gelo…Ma dove lo trovate un congelatore abbastanza grande in Spagna negli albergues…..??!!

Mentre i vecchi “pellegrini” si godevano lo “spettacolo” dello striptease gratuito, io ero stupito dei disastri che le bestiole avevano provocato su quei giovani corpi. Le ragazze mi dicevano che si sentivano come insozzate da queste bestiole. Avevano già a parecchie riprese lavato  la loro roba in lavatrice, ma non era servito a niente…

La minaccia fantasma le perseguitava di albergue in albergue.

Dopo aver spiegato che da noi si seguivano delle norme strette in questi casi e che tutto il materiale veniva pulito e lavato a 60 gradi ogni tre giorni, proprio per evitare contagi, nel discorso mi tocco’ riconoscere che invece in altri rifugi ed albergues dei cammini la pulizia non era veramente la stessa e che quindi erano diventati un vero e proprio allevamento di bestiole.

La maggioranza di queste cimici da letto vivono nelle pieghe di letti e materassi anche fino a tre anni senza nutrirsi, ma quando la temperatura media sale sopra i 25 gradi, si risvegliano ed hanno fame e pungono e succhiano tutto quello che c’é a tiro, anche se sembra che prediligano le giovincelle a pelle chiara… e poi si riproducono.

Cosi’ puo’ anche succedere che ce le portiamo a casa nello zaino con le uova…

Ed allora non posso che consigliare il gran caldo, sopra i 50 gradi od il gran freddo, sotto i 15 gradi, per gli affari personali da ripulire al ritorno o durante il cammino… ed il fuoco purificatore per brande, materassi, coperte, cuscini negli albergues infestati (la soluzione chimica, oltre che nociva, non funziona per molto tempo ed il DDT é stato vietato), una pulizia quotidiana accurata e d’inverno, finestre ben aperte, che tutto sia lasciato esposto al freddo sottozero, che cosi’ anche le larve e le uova muoiano prima dell’apertura al pubblico.

E facciamo in modo che anche i cani randagi, gatti selvatici ed altri “portatori a due zampe” … di quelli che non si lavano molto, siano tenuti alla larga…senno’ la minaccia continuerà a pesare ed avvelenare il nostro cammino con relativi danni collaterali…

LA LUCEEEEEEEEEE !!!

Un’altra piccola storia della vita in comune nei rifugi ed albergues.

Ieri dopo la colazione, ho notato una donna in difficoltà che non riusciva a decidersi a partire. Mi dice che vuole fermarsi e tornare a casa, perché é veramente demotivata e non vuole più continuare il cammino con questo tipo di pellegrini.

Logora e stanca della gente.

Mi spiega che era quasi una settimana che il caso l’aveva fatta camminare nelle stesse tappe di alcuni “pellegrini” che avevano l’abitudine d’accendere le luci a qualsiasi ora del mattino (le 4h o le 5h), di svegliare tutti quanti senza preoccuparsi per niente del loro prossimo e dei loro pareri.

Era davvero stanca…

Spesso capitano cose simili nell’albergue. Si sentono voci, rumori, risate, al mattino molto presto nella cucina e nel dormitorio (io dormo o piuttosto cerco di dormire giusto a lato della porta d’ingresso).

Ed allora esco in mutande, incazzato, e cerco di fargli capire che ci sono altre persone che vorrebbero dormire e spengo le luci.

Se ne strabattono e le riaccendono. Sono quelli che dicono che bisogna partire alle 4 o alle 5 per godersi l’alba e fare un vero cammino.

Spesso sono aggressivi perché pensano di detenere “la verità” e non rispettano minimamente il loro prossimo perché “gli altri devono imparare”…

Spengo di nuovo e difendo la mia decisione ponendomi in piedi davanti al contatore.

Quasi mi aggrediscono fisicamente e verbalmente non si contano gli insulti!!!

Chiaro che ormai hanno ottenuto il loro risultato…tutti sono più o meno svegli!

Ma le luci restano spente fino alle sette del mattino e silenzio!!

Talvolta mi incazzo di brutto ed esco col bastone, mandandoli a fanculo, specie quendo sono degli italiani e spagnoli vacanzieri caciaroni.

Talvolta cerco di fare l’educatore, spiegando cosa implica il rispetto degli altri nella vita in comune.

Questa cosa strana, il rispetto degli altri, non esiste quasi più nella vita normale, dove la prepotenza e la prevaricazione fisica e morale o monetaria regnano, ma sui cammini bisogna che imparino, o reimparino, a rispettare gli altri, soprattutto i più deboli, quelli che non hanno voce.

Non tutti hanno la stessa forza fisica o resistenza alla fatica ed il bisogno di riposare e di accumulare un poco di forze ha tempi e metodi diversi a secondo delle persone…

Allora, che imparino ad alzarsi in silenzio, a preparare lo zaino la sera prima, ad uscire in silenzio senza rumori di sacchetti di plastica e chiacchiere varie.

Ogni giorno la scena si ripete, ogni mattino pure.

Facciamo della pedagogia e speriamo di vedere la situazione migliorare.

Tanto più che io hospitalero dormo li’ dentro e lavoro tutto il giorno per far funzionare l’albergue e vorrei anch’io poter dormire almeno 6 ore per notte e recuperare dalle mie fatiche…     Abbiamo tutti diritto al riposo!!!

La lotta continua, siamo testardi per difendere il rispetto reciproco….

*Il fantasma del discepolo di san Francesco.

Era tardi nella sera quando, sotto una pioggia battente, s’é presentata alla porta della “maison franciscaine” una figura di età incerta, un po’ esitante, la voce tremolante.

Era accompagnato da un cagnetto di razza sconosciuta che saltellava ai suoi piedi e che era dotato di una vitalità che il suo padrone non aveva più o quasi.

Senza soldi, cercava un alloggio per la notte.

Non completamente padrone di se stesso e sotto tutela, aveva preso la strada per andare a Compostella con, per sola compagnia, il suo bastardino e la misericordia degli altri.

Gli avevano detto già in altre posti di rivolgersi al parroco per avere un po’ di elemosina e quindi aveva fatto lo stesso a saint Palais e ne era tornato con qualche spicciolo per ottenere la credenziale e dormire da noi.

Non ero là quando era passato la prima volta. Evidentemente il volontario parigino molto integrista, che era venuto a prestare servizio una settimana, non voleva avere tra i piedi vagabondi e randagi e quindi aveva trovato delle scuse per mandarlo via.

Ma quando era ritornato con la sua aria timida da povero vagabondo taciturno, mi era parso come la reincarnazione di uno dei discepoli di san Francesco d’Assisi che, fatti piroettare su se stessi e cadendo al suolo storditi, avevano indicato la direzione da seguire per raggiungere ciascuno differenti contrade e portare il messaggio di spartizione dei beni che Francesco aveva lanciato.

Mi era apparso come in un flash, ne ero stupito.

“Dove vai? ti hanno lasciato partire in questo stato? non hai soldi? come farai?”

Scuoteva la testa e mi guardava come se gli stessi ponendo delle questioni troppo grandi per lui. Le sue mani tremavano, di freddo o per altre cause.

Allora gli ho aperto la casetta in basso con la doccia calda ed i bagni e la cucina e tutto il giardino per il cagnetto.

Era stupefatto, non voleva, era troppo….voleva pagare.

“Tieni i soldi per i momenti peggiori e vieni a mangiare con gli altri, che cosi’ imparano qualcosa……”

Immagino che nel Medioevo i fraticelli francescani, che non erano né ricchi né studiati, abbiano dovuto soffrire le stesse costrizioni, le stesse sofferenze di questo camminante disarmato e disarmante nei suoi silenzi e nella sua gentilezza.

Io non posso fare altro che cercare di farlo ripartire nelle migliori condizioni.

Ma non ho altro da offrirgli e normalmente il presidente dell’associazione (ricco e stronzo) non vuole che accolga i vagabondi.

Io non accolgo i vagabondi professionisti alcoolizzati e scrocconi che infestano il paese vivendo di elemosine e di assistenza sociale da bersi in piazza fino all’ultima ubriacatura, anche se poi sono diventato amico ed aiuto di uno di loro, ma questa é un’altra storia…

Ma questo fantasma di un altro tempo m’intrigava…e non era sicuramente uno degli ubriaconi parassiti.

Fece la doccia, il cane con lui; lavo’ le sue cose, si raso’ e venne a cena.

Marie Louise aveva preparato la sua zuppa ed il suo patate con bistecca con il bicchier di vino tipico. Anche il cane ebbe la sua razione.

Si chiacchiero’ del cammino da fare, degli alloggi possibili per lui col cane….fuori pioveva ancora a dirotto come solo nel paese basco si puo’ vedere per giorni e giorni…

Lui aveva difficoltà ad esprimersi, una lentezza dovuta alla solitudine ed all’abitudine a parlare col suo cane ed altri animali, piuttosto che con gli umani.

Ma sapeva dove voleva andare e conosceva le difficoltà per arrivarci.

Le cose della vita “normale” erano imbrogliate nella sua testa, chiare nel suo spirito le priorità della sua vita di tutti i giorni. Era insomma lucido riguardo al suo avvenire.

Non finivo di stupirmi.

Avevo già conosciuto persone che avevano fatto il cammino senza soldi o con poco, ma tutti erano molto pieni di risorse e d’arte di arrangiarsi, al limite anche un po’ furbetti e profittatori.

Ma lui era semplice, tranquillo, fiducioso. Come i fraticelli di Francesco quando sciamarono per la strade del mondo e svilupparono quella visione sociale oggi un po’ perduta di vista….

Al mattino raduno’ le sue poche cose, puli’ la sua camera e parti’. Verso altri cieli ed altri incontri, come un fantasma era arrivato e come un fantasma era ripartito!

MAITE

Maite era una hospitalera basca sulla cinquantina soffice e calda come un bombolone alla crema, accogliente e materna come solo le dee della terra-madre preistorica possono essere, ricettiva ed intuitiva ed esperta.

Io stavo sulla porta dell’albergue nel monastero di Najera, venivo da Navarrete (tappa corta) stringendo i denti e bestemmiando ad ogni passo perché la feroce tendinite che mi attanagliava da Lourdes, mi faceva camminare come un fachiro sui chiodi, dolore acuto ed inibitore.

Se in Francia potevo nascondermi, come nella stanza di Louvie Juzon dove ero rimasto 5 giorni al coperto senza che nessuno mi cacciasse via o come ad Oloron sainte Marie dove, complici le vacanze scolastiche francesi, il boss era andato via ed io ne avevo approfittato per restare 6 giorni nel chiuso silenzio della stanzetta che avevo pagato per solo un giorno; qui in Spagna uno stupido regolamento (che non avrei mai applicato da hospitalero), ti obbligava ad uscire dal rifugio dopo una notte e solo con certificato medico potevi restare due notti…

Ed allora la ricerca di un posto dove poter dormire a basso prezzo o l’accorciare le tappe diventava la sola soluzione.

(mai abbandonare il cammino su una sconfitta!)

Cosi’ ero riuscito ad arrivare fino a li’…

Non volevo tornare indietro, solo avanti.

Maite non mi aveva chiesto né soldi né credenziale; mi aveva guardato e subito indicato la branda, la doccia, la cucina e ….chiesto se sapevo cantare.

Ci vediamo dopo, mi aveva detto.

Cantare? non avevo nessuna voglia di cantare, volevo piangere!

“fatti una doccia e poi scendi giù, che ne parliamo…”

Eseguo, in spazi molto ristretti, la doccia é piccolissima!

Arrivano altri, é pieno di gente, dolori, storie.

Scendo giù e mi fa stendere su un materassino in mezzo a tutta la gente, mi gira di schiena ed inizia a toccarmi con le sue mani forti e calde.

Ho paura di svenire, il dolore mi scuote, ma mi sussurra parole in basco che non capisco. Qualcuno ridacchia, io mi sciolgo un po’ e con me anche paura e dolore. Sono come una pagnotta che si impasta piano piano.

Leggero, sogno ad occhi chiusi…un po’ di acqua fredda sulla fronte mi dà frescura e risveglio.

Mi fà alzare, sedere a tavola con gli altri e mi dice di cantare…

Ci penso, mi schermisco, tutti mi guardano…poi intono la donna cannone di De Gregori che finisco molto emozionato e quasi in lacrime.

Allora lei intona O Sole Mio che tutti riprendiamo in coro: che gente!

Ma dove li trovate pellegrini cosi’ ed una hospitalera cosi’?

Finiamo la serata ben oltre le 22,00 con dispetto di qualche bulimico del cammino che “deve” alzarsi alle 5,00, tutti ben allegri e contenti, dimentichi dei nostri dolori e pronti a riprendere il nostro cammino l’indomani.

Non l’ho mai più rivista né avuto notizie, ma ho imparato molto da lei.

Spero che stia bene e che tutto le arrida. Milesker anitche, grazie mille

 

Il pellegrino bianco che più bianco non si puo’.

Eravamo verso fine settembre e stavo chiacchierando con il vice presidente del museo venuto in visita di cortesia, quand’ecco apparire sulla soglia un essere strano uscito giusto giusto dal Medioevo. Vestito di una tunica bianca di cotonaccio grossolano, con dei sandali artigianali ai piedi ed un cappello di paglia alla vietnamita, si presenta come l’autentico pellegrino bianco sul cammino di ritorno a casa, l’unico vero pellegrino.

Lo guardiamo entrambi un po’ sbalorditi per l’apparizione, si vede bene che ci conta su, “per vedere l’effetto che fa” ed ottenere quello che vuole…ne ha l’abitudine e l’attitudine.

Tra me e me penso :”Ancora un tipo strambo, un “illuminato”.

Decisamente questo cammino diventa il luogo di passaggio di tutti quelli che cercano una soluzione fittizia alla loro esistenza. Pellegrino del cancro, pellegrino della miodistrofia, della leucemia, della pace, della religione, delle religioni, dell’eterno…tutto fa brodo per inventarsi una causa ed una motivazione per vagabondare a titolo gratuito e farsi pagare le spese.

Invece di dare il loro tempo per aiutare gli altri, ad esempio facendo dei periodi da hospitalero volontario, preferiscono vagabondare approfittando della compassione altrui e dello spirito amichevole che regna sui cammini!

Mi viene da pensare che ci prendono davvero per dei marzapani…

Ma, come sempre, se c’é posto, li accogliamo, ma senza dargli più credito ed attenzione di quanto non meritino.

Questo qui pretende subito accoglienza gratuita, presentandosi come privo di risorse dato che é sulla via del ritorno da Compostella, dato che é stato hospitalero a Burgo Ranero nella Meseta, dato che é adulto handicappato, dato che é stato quasi prete cattolico, quasi pastore ortodosso, quasi prete carismatico, quasi… Dato che….un fiume di parole.

Guardo M. Larralde che é rimasto a bocca aperta e decido di accogliere il pellegrino bianco nel salone in basso, di fianco alle docce ed ai sanitari.

Lo accompagno, parla come un mulino a vento, gli spiego come entrare ed uscire, gli orari e tutto il necessario e ritorno all’ingresso a salutare il mio ospite.

Arriva una pellegrina e l’accompagno al dormitorio passando per il chiostro e là trovo il pellegrino bianco un po’ “nudo” che tiene una “conferenza” a due pellegrine stupite e un po’ esitanti sul come fare per uscire dalla trappola.

Gli faccio rimarcare che siamo in un posto civilizzato e che dunque sarebbe meglio che si rivesta, invece di importunare la gente.

Strano, noto che ha dei seni come una ragazza…boh.

Fa finta di niente, pare evidente che si sente investito di una missione “divina”…

Malgrado mi abbia detto di aver marciato sotto il sole 35km, la sua tunica bianca non é per niente sporca e lui non é per niente stanco.

Meraviglie del cammino.

Non voglio toccarlo, le sue tette mi fanno impressione, allora faccio segno alle pellegrine di salire su accompagnando la nuova arrivata e mi metto di traverso alla porta per non farlo passare…

Il pellegrino bianco… che fuma come un turco e non ha soldi… decide di uscire ed andare al ristorante in piazza (25€)… porca miseria, é il colmo!

Quando ritorna a notte fonda mi dice di voler offrire un donativo. Non voglio il suo denaro né le sue parole. Rifiuto e lo mando a dormire, che devo chiudere le porte e la giornata é stata lunga.

Il giorno seguente esco per comprare il pane per la colazione e le ragazze dell’ufficio del turismo mi raccontano che un pellegrino strano é passato da loro e, tra l’altro, gli ha detto che l’hospitalero era uno snob non troppo accogliente…

Se sapesse cosa vuol dire fare il cammino senza una lira, ma veramente senza.

Non facendo finta di non averne…

Ma non ho voglia di discutere con lui e gente come lui.

PS: la primavera dopo giunse notizia di un pellegrino “bianco” che campeggiava nei pressi di Cluny alle rovine della storica abbazia benedettina e che faceva il bagno nudo nel ruscello. Chi riporto’ la notizia disse che “sotto” era fatto come sua figlia…misteri della natura e dei pellegrini “veri” e bianchi che più bianco non si puo’….

PS: non é per cattiveria, ma il pellegrino bianco oggi gira travestito da donna, le foto sono su internet, e la sceneggiata continua su tutti i cammini…se va bene a lui, amen

 

La parigina che poi non lo era (della serie: le vedi subito quando arrivano).

La voce al telefono era piena di sottintesi, ma non di quelli che fanno piacere, no!

il sottinteso fondamentale era :” io sono, io voglio, io comando, tu devi….”

Non si puo’ neanche scherzare un po’ con questa voce, bisogna girarci intorno per tutti i lati per cercare di trovare una faglia umana, se si ha davvero voglia di cercarla.

Senno’ si lascia perdere e si dà il minimo sindacale.

“Si’ signora, l’accoglienza apre alle 13h…si’ signora, abbiamo stanze individuali…si’ signora, abbiamo una doppia per le sue due nuove amiche che lei dirige con mano di ferro (senza guanto di velluto) che siccome sono canadesi e non hanno il cellulare, é lei che si occupa con buon cuore di prenotare le stanze, insomma é lei che fà tutto. Eh si’, perché senno’ loro non sarebbero capaci di cavarsela, poverine… si’, abbiamo una cucina completa, si’, il portone é aperto per accogliere il taxi  con il suo zaino che non é pesante, ma ne ha approfittato per comprare della garbure paysanne fatta in casa e pesa troppo,  e le nuove amiche non hanno voluto portarle lo zaino in due… queste approfittano del suo buon cuore e non la ringraziano neanche portandole lo zaino che non pesa neanche troppo, vero? etc etc etc”

Punaise ! Ma quanto pesa sto’ zaino? 24kg ? Allora lo lascio là in basso dello scalone dove sono riuscito a trascinarlo dall’ingresso dove il tassista l’ha scaricato…

vedremo quando arriverà la signora…

La tappa a piedi della signora non era stata lunga: 12km, ma penosa come si seppe in «camera caritatis» la sera a cena in un momento di libertà di parola (lei era andata in bagno).

La signora aveva cominciato a Orthez facendo delle mezze tappe, fino a quando aveva avvolto nella sua ragnatela le due canadesi che avevano già qualche centinaio di km nelle gambe da Vezelay in giù, nominandosi capo squadra da sola.

Come si confà ad una capa, lei arriva in testa, tutta agghindata come all’uscita del noto grande magazzino parigino per escursionisti…le altre due dietro l’ape regina.

Seguo la procedura in uso: timbro, pagamento, dépliants, un po’ di chiacchiere utili per sapere se hanno bisogno di qualcosa.

Lei fà la maliarda come ogni donna che voglia controllare con chi ha a che fare e per controllare meglio la situazione e forse ottenere dei favori.. (non si sa mai! é questo hospitalero che dirige la “maison”! ).

Le accompagno di sopra, alle camere, e lei prende possesso della camera doppia come se niente fosse, camera che era destinata alle sue “amiche”.

“Madame, non é la sua camera questa, é una camera doppia, dunque per due persone… la sua é quella, una singola a un letto… questa é per le sue amiche che sono due…”.

“NO! io voglio questa! voglio poter cambiare di letto se non mi piace! loro possono arrangiarsi nel dormitorio, sono io che ho prenotato e dunque scelgo come voglio!”

Bof ! facciamo finta di niente, tanto ne abbiamo di stanze, non é un problema trovare un’altra stanza doppia.

Bene, se voi avete bisogno di me sono giù all’accoglienza….tutto questo sotto lo sguardo compassionevole delle due pellegrine “straniere”, (sic!)

A fine pomeriggio, all’ora del té, un’apparizione in paréo trasparente e tongues s’introduce nell’ufficio qui giù all’ingresso. La dama ha fatto una bella doccia calda e viene a fare charme, come la donna in carriera che testa i suoi subalterni per vedere con che tipo d’uomo ha a che fare. In ogni uomo lei vede uno schiavo in potenza, soprattutto se é timido…

Per fortuna un giovane ed un vecchio pellegrino arrivano a salvare la situazione.

L’ambiente si distende e la ragnatela che mi stava imbrigliando si decompone in modo subitaneo, anche se un filo é per ogni evenienza lasciato srotolarsi come una lenza, uscendo lei dalla stanza come una diva del muto scodinzolando il didietro…

Il vecchio signore si rifà gli occhi, ricordandosi i buoni vecchi tempi andati ed il giovane potrebbe diventare suo schiavo subito…

La sera arriva e la cucina si riempe di chiacchiere, di odori e di cortesia.

Gli odori della garbure fatta in casa che lei non condivide per paura che non ce ne sia abbastanza per lei…e lo dice pure!

La cortesia di tutti quelli che devono stare zitti per ascoltare il chiacchiericcio instancabile della signora, durante ore.

Alla famosa pausa pipi, ci scambiamo uno sguardo attonito per questi io, io etc etc e tutti trovano una scusa per eclissarsi nelle loro stanze il più presto possibile.

La notte é troppo corta per evacuare tutto ed al mattino, in vestaglia da camera e pantofole, protestando perché non c’é pane grigliato, la signora ci racconta la sua notte, insonne, stanca, annoiata, solitaria etc etc

La gente comincia a partire, le 9h si avvicinano e lei é ancora là in déshabillé e là, patatrac, una richiesta fionda come un ordine verso il giovane pellegrino: ” saresti cosi’ carino di incaricarti di portare il mio zaino fino ad Ostabat?”

Il tono della voce é di quelli che non accettano i : “no, ma..”

Il giovincello é confuso; la salvezza gli viene dal vecchio:” Madame, lei é una sfrontata, ognuno porta il suo zaino sul cammino e non due nello stesso tempo!”

Detto questo, se ne vanno e la dama, indignata, va nella sua stanza a chiamare un taxi porteur.

Io mi nascondo nei miei lavori mattutini, che sono tanti e sono in ritardo, e la lascio partire senza dire “au revoir…”

A Ostabat, per vendicarsi, madame terrorizzo’ Lucie, la proprietaria dell’ostello; le due canadesi trovarono il modo di sfuggire alla ragnatela facendosi dei km in più, dei pellegrini alloggiati là furono accusati di essere dei truffatori perché avevano la vettura al seguito, la cena fu rifiutata perché immangiabile, il letto anche…

Il vuoto si creo’ intorno a Madame…ed il ritorno a Parigi o non si sa dove, si impose al grido: “questo pellegrinaggio é diventato un rendez-vous di turisti! Oh, i buoni tempi andati! non c’é più carità cristiana!! Io si’ che sono ancora la sola vera pellegrina all’antica! una vera!!!”

PS: durante la pulizia mattutina nella sua camera furono rinvenuti quattro pacchetti di preservativi ed un biglietto :” non mi sono serviti”. Era rivolto a me o al giovane???

IL PELLEGRINO “io io” in caccia.

L’altro giorno, un pellegrino di una certa età, che fà anche l’accoglienza ai pellegrini di tanto in tanto, s’é presentato alla porta. Era vestito in pantaloncini corti e canottiera stile  Alberto Sordi, abbronzato, con una di quelle borse stile hippy degli anni ’70, uno zainetto leggero, la calvizie mascherata col riporto, lo sguardo vivo e sicuro di sé.

Il fatto é che quel giorno, come spesso qui nel paese basco, il clima e la temperatura esterna non erano davvero buone per lo stile spiaggia dei Caraibi.

Da qui il mio stupore per la sua tenuta un po’ fuori dall’ordinario in questa stagione…forse normale in estate nella Meseta caliente, ma non qui nel paese basco in questo inverno ritardato del mese di maggio.

Di primo acchito mi questiona per sapere se tre pellegrine tedesche erano già arrivate da noi. Io non sono poliziotto e non schedo nessuno; per di più, a seguito delle mie stagioni da hospitalero nei mesi estivi in Spagna, nei mesi dell’acchiappo, ho per abitudine di non favorire quelli che si “incollano” e che impongono la loro presenza agli altri, prendendo i pellegrini per un uditorio passivo e sempre disponibile…

Quindi gli rispondo che non ne sapevo niente….

Perché? perché erano appena passate per il timbro (il nostro bel timbro rosso con la tau dei francescani, bei tempi allora, prima del saint macacq presidente) e mi avevano detto che volevano andare avanti fino ad Ostabat, malgrado la fatica, per allontanarsi da un tipo che le soffocava con la sua corte, le sue storie  ed i suoi propositi.

Quell’uomo era là di fronte a me, indeciso sul da farsi.

Ma alla fine, dopo un tempo di attesa, seguendo un suo ragionamento interiore, decise di prendere una stanza da noi e o faccio pagare. (se pensava che gliela davo gratis per il fatto che faceva talvolta l’accoglienza a st jean pied de port, più per cuccare che per dare aiuto…). Aveva cominciato tre giorni prima il suo cammino, lasciando a casa la moglie.

Ripartiva per la sedicesima volta, sempre sullo stesso cammino e più volte nello stesso anno.

Perché? Gli ho posto la questione.

Mi dice che fugge sua moglie, la sua famiglia, il tran tran e la monotonia del suo quotidiano, la sua vita normale insomma.

Ma cerca anche la compagnia, delle avventure passeggere, il tempo di un incontro sul cammino.

Insomma si metteva alla posta, come i cacciatori al passo delle palombe! veniva per questo, ci andava per questo!

Eh si’, aveva scoperto qualche anno fa, che la marcia quotidiana, lo sforzo e la fatica, la solitudine e la promiscuità, potevano indurre una certa affinità, complicità, amicizia e che tutto questo favoriva un certo “rilassamento” dei costumi anche nelle più “pure e dure” e ne approfittava…

(NDR: sono cose che succedono e non ho niente contro; pero’ mi scoccia che ne facciano un uso “improprio”)

Docciato e rimesso a nuovo, ben profumato, scese giù all’accoglienza per domandare se erano arrivate le pellegrine.

Altri pellegrini arrivavano, coppie o solitari.

Era là, seduto nel chiostro, facendo finta di leggere o chiacchierando con chi arrivava disfatto dal freddo e dalla tappa dura.

Lui aveva ancora la sua canottiera e solo coperto le spalle con un pull, sembrava uscito da un film di Fellini sui Vitelloni della Riviera romagnola.

Ma… peccato! niente pellegrine !

Allora esce a comprare qualche bottiglia, nel caso in cui….

Aveva preparato bene la cosa. Qui ci sono stanze singole o doppie, ma niente chiavi (se le perdevano sempre o le portavano via) e dunque, dopo una cena ben innaffiata, la prima che apre la porta o non grida (come successe qualche volta)….puo’ funzionare.

In centro la cassiera del supermercato gli dice che tre tedesche erano passate nel pomeriggio prima di lui.

Ritorna e mi guarda storto come se io fossi responsabile di chissà che cosa.

Aveva capito che per quella notte tutto era andato storto.

Allora, si dedica all’altro suo passatempo preferito sul cammino: la lezione io, io…

Mentre i pellegrini “novelli” cucinavano nella sala comune, lui, seduto spalle al muro, gli faceva la lezione dall’alto della sua esperienza e dei suoi records passati e futuri.

IO si’ che… e voi, voi non avete capito niente; si deve fare cosi’, perché IO, io faccio cosi’; IO, io ho fatto 16 volte il cammino, IO, io ho fatto 10.000 Kms, IO, io so tutto e voi, voi niente!

Non so quanto sia durato il tutto, so solo che quando sono salito in cucina per riscaldarmi un piatto alle 20h ne restavano solo tre, la bocca aperta, ad ascoltare il signor IO IO ed i suoi exploits.

Non ci vuole molto, lo confesso, per scatenare la mia ironia, non mi piacciono molto questi tipi di pellegrini…Secondo me: a ciascuno il suo cammino ed ognuno deve trovare la sua strada.

Il risultato fu un attacco in piena regola:” Ma come? hai fatto lo stesso cammino sedici volte? ma tu sei scemo? sedici volte la stessa cosa? neanche una volta ti ha sfiorato l’idea nel tuo cervello di cambiare di cammino?” “Ah bon !? Troppo solitari gli altri cammini??? Non storiche le altre vie di pellegrinaggio??? allora sei veramente scemo!”

I «novelli», stupefatti, mi guardavano come se fossi un extraterrestre, non sapevano che conoscevo già IO IO dal 2004 quando l’avevo visto in azione su una canadese in sofferenza psicologica a causa di una psoriasi devastante, sulla quale aveva esercitato tutti i suoi talenti per sottometterla alle sue volontà, fino a quando era comparso un giovinotto per liberarla (come mi racconto’ lei l’anno dopo a Belorado quasi guarita del tutto e …felice)…

E là, IO IO si ricordo’ di me! IO IO filo’ nella sua stanza! Per la sera ne aveva avuto abbastanza….

 

IL PELLEGRINO DELLA SPERANZA.

 Ero appena sceso dalla cappella di Soyartza, Claude m’aveva rimpiazzato all’accueil durante la mia assenza, ed un tipo senza zaino ed una borsa da ufficio alla mano, si presenta all’ingresso. Era vestito come durante gli anni di guerra, degli stivali militari ai piedi, dei pantaloni kaki alla zuava.

Mi guarda e mi dice cosi’, di primo acchito: “bisogna rasarsi prima di parlare con me!”.

«Pardon? non ho capito bene?»

Mi lancia qualche parola confusa di cui capisco solo in tedesco :” sono un boche (tedesco in volgare) tralalalero tralalala…”

Allora, gli porgo la domanda di rigore: “desidera?”

Mi risponde, ancora una volta fuori tema : “Voglio parlare con l’altro!”

Mi incazzo un poco e gli ritorco che per tutto quello che riguarda l’alloggio e l’albergue, sono io il responsabile.

Mi dice che vuol sapere quanto costa etc. etc.

La mia reazione, normale visto il tipo, é di chiedergli dov’é il suo zaino, poiché qui accogliamo pellegrini con zaino e credenziale.

Mi dice che lo zaino é all’Office du Tourisme.

Gli ribatto: «Vallo a prendere e dopo se ne parla…”

Strano, ma vero, si calma e di colpo mi chiede quanti km mancano ad Ostabat.

Dodici, gli dico.

Bene, andro’ laggiù ed esce fischiettando “Lili Marlene”.

Una mezzora dopo, stavo ricevendo visite (ce ne sono tutti i giorni…di cortesia e di curiosità…) ed il tipo ritorna, entra e minaccia: “voi sentirete parlare di me etc. etc.” come se gli avessimo fatto qualcosa.

La signora della Caritas che era là esce per vedere cosa succede e ritorna dicendo: “quello é pazzo!”.

Perché tutto sto casino, direte voi.

Succede talvolta che delle persone col mal di vivere si trovino una ragione di sopravvivere dandosi un incarico (autonominandosi) che “solo loro” possono svolgere. Ed una volta trovata la combine, la via, il mezzo, la loro follia li porta molto lontano in tutto quello che capita, basta che si mettano in luce.

Sette, sacrificio, missione …

E bisogna che spazzino via tutto quello che li puo’ ostacolare sul loro cammino di pazzia…

Lui era il “pellegrino della speranza”.

Quale speranza?

Che l’ordine promesso dal Reich ritorni…

Era rimasto fermo agli anni trenta-quaranta ed al periodo dell’occupazione…

Proprio, ne abbiamo viste di tutti i colori.

Spero che la gente realizzi cosa dobbiamo sopportare talvolta qui all’accoglienza della Maison Franciscaine.

Adio! (arrivederci in basco)

 

LUCIEN il barbone

La presenza dei francescani, di Zabalik, della Caritas, della caf (cassa per le allocazioni familiari) aveva favorito la nomea della casa francescana come luogo dove ci si poteva rifugiare per tempi più o meno lunghi, nutriti ed alloggiati, fra tutti i poveri, diseredati, alcolizzati e derelitti che vagavano sulle strade di Francia e Navarra ed oltre.

Il problema venne quando l’ultimo francescano se ne torno’ in Guipuzkoa e la casa ricadde sotto la mia responsabilità, più o meno diretta…da sindaco e presidente dell’associazione.

Bussavano alla porta ogni sorta di vagabondi ed avevo l’ordine di accogliere solo pellegrini con credenziale e paganti..

Ma, testa dura come sono, cercavo con ogni mezzo di continuare l’operato intrapreso quando c’erano ancora i francescani e gli amici di Zabalik, incoraggiato in questo anche da gente che stava in consiglio comunale, ancora indecisa sul da farsi per il futuro.

Io dovevo gestire la transizione, continuando l’opera di accoglienza e, se possibile, rinfrescare le antiche esperienze di comunità.

Dopo qualche spiacevole esperienza con bevitori accaniti e pazzi scatenati, avevo stabilito una specie di linea di condotta: niente alcolizzati parassiti sociali senza zaino aggressivi (come quello che mi aveva spaccato a calci il vetro della porta d’ingresso perché non lo lasciavo entrare col bottiglione da due litri, ubriaco fradicio).

Quando invece erano solo dei vagabondi in cerca di un tetto per poco tempo, li accoglievo anche se avevano cani e li mettevo nella mia casetta con tutti i servizi e confort ed un bel giardino per i cani.

Quando arrivava pasqua, arrivavano anche loro, scendendo da chissà dove…

E cosi’ un giorno era arrivato Lucien col suo sacco ed il suo carico di esperienze di droga e di alcool che gli avevano bruciato il cervello e lo avevano reso simile ad un bambino.

Non avevo avuto problemi ad alloggiarlo nella casetta, anche perché aveva già fatto un pezzo di cammino in Spagna nel corso dei suoi vagabondaggi e negli anni passati aveva passato sei mesi qui nella casa francescana al riparo del mondo esterno.

Aveva una certa furbizia per procurarsi droga ed alcool, ma era chiaro che era disarmato di fronte alle cose “normali” della vita.

Gli avevo dato da mangiare, lavato e cambiato la roba e consigliato sui posti dove avrebbe potuto trovare accoglienza come da noi ed era ripartito.

O almeno cosi’ pensavo…

JP passava regolarmente alla maison per vedere l’andazzo e forse ero sotto controllo…

E quindi rimasi di stucco quando una mattina mi disse che qualcuno dormiva nella paglia della ex conigliera in fondo al prato e che lui l’aveva visto uscire di soppiatto dal portone del cortile.

Era un capellone ricciuto…era Lucien!

Me lo vidi capitare la sera verso l’ora di cena mentre raccoglievo i panni asciutti sotto la tettoia. Si era accorto di essere stato visto e quindi veniva a dirmi che era tornato subito li’ perché c’erano le feste del vicinato.

Eh si’, anche nel paese basco oltre che in Sardegna, ci sono le feste del bixinaus!

Musica, canti e balli e molto alcool e droga tra i giovani ed i barboni arrivati in massa ed ospitati al macello comunale.

Gli chiedo se tutto va bene. Si’, stava con amici.

Aveva dormito qualche notte su in montagna nella cappella di Soyartza, poi a Saint Jean PP, ma non aveva un soldo e quindi era tornato dove sapeva che poteva averne dalla Caf o dalla Caritas.

Quella sera ci fu un bel concerto di bandas con balli e movimento ed incontro’ un’infermiera spagnola della clinica, molto comprensiva ed in cerca di affetto, che viveva sola in paese.

E lei se lo porto’ a casa, come si adotta un cucciolo perduto.

Comincio’ cosi’ un menage in cui lei cercava di guarirlo e di riportarlo sulla retta via, scontrandosi con la sua mente contorta da alcol e droga e coi suoi ragionamenti semplici sull’impossibilità di vivere come gli altri.

Lei voleva trasformare un cucciolo in un uomo per lei, lui cercava solo un posto per stare un po’ al coperto, anche se apprezzava i suoi sforzi.

Quasi ogni sera capitava alla maison per fare quattro chiacchiere.

Lei era di turno, e poi andava a mangiare da un’altra signora molto disponibile.

Finché un giorno arrivarono tutti e due con la scusa che lui gli aveva danneggiato il computer nuovo, visitando siti porno, e cosi’ la conobbi e mi confermo’ come andavano le cose.

Cervello ridotto dall’alcool e dalla droga, ma mica scemo il cappellone…nutrito, alloggiato e spesato di tutto… e lei non sapeva più come fare per uscire dall’inghippo.

Lui non voleva trovarsi un lavoro, contribuire al menage, darsi una regolata.

A volte spariva per una settimana e poi tornava e la carta visa di lei era alleggerita o la macchina danneggiata.

Tocco’ a me cercare di districare la matassa e non ci riuscii, anche perché non erano fatti miei…..e ci misi poco impegno.

L’anno dopo, al rientro pasquale, lui stava facendo un corso da giardiniere e tutto pareva filare a meraviglia…

Ma lei mi disse che doveva andarsene perché lui aveva fatto debiti, usando la sua carta e quindi doveva lasciare l’appartamento e tornarsene in Spagna.

Di lui non sapeva cosa fare…

Lui parti’ per le Alpi da certi amici, lei nel massiccio centrale dove aveva trovato un altro posto come infermiera.

Ogni tanto arrivano telefonate di aiuto da lei che non sa se ha fatto bene.

Lui non l’ho più visto. Sarà libero di fare la sua vita come meglio crede.

In fondo non era un cucciolo….

*Quelli che la notte…

Uno dei problemi sui cammini é quello di poter riposare la notte.

Già a Roncesvalles, dopo la lunga e dura tappa, lo stanzone con più di cento letti, uno appiccicato all’altro e tutti sovrapposti, in quello che era l’ex-granaio dal soffitto altissimo e molto sonoro, ti dà un’idea di quello che saranno le notti future…

Alle 22,00 spengono le luci e non ci si puo’ più muovere, anche perché le brande ondeggiano come navi in tempesta ad ogni movimento tuo, di quello che sta sopra, dei vicini troppo vicini…

Soprattutto se sono invadenti come la portoghese che mi capito’ vicina di letto, una volta, e che per prima cosa mi appioppo’ una manata in faccia girandosi per trovare la posizione per dormire…

“Oups, disculpe!”

Pero’ intanto si era appropriata anche di una parte della mia branda a furia di calci, gomitate e sberloni  inavvertiti…

Non serve a niente arrabbiarsi e farsi il sangue amaro…

o si aspetta una parvenza di sonno interrotto oppure ci si alza e si va a cercare un posticino tranquillo, se ce n’é!

“Lasciatemi dormire! mi sono fatto 20 km di salita e 6 di discesa! ho bisogno di riposare!”

Ma niente da fare, la maggior parte comincia qui il cammino con la scusa di Roncesvalles e della sua abbazia e che ci arrivano i bus…

quindi non sono per niente stanchi e tutti eccitati all’idea di cominciare il loro cammino…

Tutti, uomini e donne, in particolari condizioni, possiamo russare, più o meno forte, più o meno a lungo e qui, questo stanzone che pare un tempio della musica, tanto la sonorità é eccellente, si presta bene ai cori dei russatori.

Anche se ti sei già addormentato, ci sono certi tipi di russare che riescono a svegliare “un morto”.

Ed é quello che ci capito’ con un gruppo di senior tedeschi, forti di corpo, buoni bevitori e mangiatori, compagnia allegra e vociante, che mettendosi in branda, ogni notte davano inizio ad un concerto di quelli da ricordare negli annali del cammino…

La tradizione della musica classica dei compositori germanici ???

Ebbi la sfortuna di averli intorno a me, di fianco e sopra !

Riuscivano a coprire tutti gli altri senza essere disturbati o risvegliati dagli innumerevoli “cip cip”, fischi, richiami o rumori che dovrebbero farli smettere…in teoria.

Anche qualche scarpa e libro lanciati nel buio non riuscivano ad interrompere il concerto.

Un disastro per tutti gli altri che non riuscivano più a prendere sonno….

Ce n’era uno in particolare, piccolo, rotondetto, grasso, con un russare leonino tutto particolare, che andava in apnea dopo l’inspirazione e restava qualche lungo secondo cosi’… lasciando tutti col fiato sospeso….fino all’espirazione che suonava come un sollievo… anche perché il ritmo prendeva alla testa la gente che aspettava, ansiosa e sussultante, il rantolo finale dopo il ruggito iniziale…

Questo modo di russare é particolarmente nocivo per chi lo pratica…ma anche per le orecchie degli uditori, che non riescono ad addormentarsi proprio per il ruggito inspiratorio molto forte in attesa del rantolo espiratorio…

Se ci fate caso, un russare regolare, anche se forte, permette di addormentarsi, mentre invece il russare leonino risveglia anche un morto.

Il piccolo grasso e rotondo tedesco ne era l’esempio tipico.

Chiaro che dopo qualche notte insonne a causa dei russatori, i nervi sono a fior di pelle e neppure la siesta pomeridiana, rimedio principale alla mancanza di sonno, riesce a ridare la calma necessaria ai corpi ed agli spiriti.

Allora si cercano soluzioni…

ma se le tappe sono obbligate e gli albergues pure, allora non c’é rimedio, solo sopportazione e sofferenza …

e sguardi malefici e tentativi vani di farsi mettere il più lontano possibile, come branda, dai russatori più famosi.

Dopo due notti con questa compagnia, arrivati a Puente la reina nell’albergue dove le stanze erano abbastanza affollate, alle due di notte senza poter riuscire a prendere sonno, ci troviamo in cucina in tre o quattro e prendiamo una decisione..

Entriamo nel buio e prendiamo di peso il tedesco nel suo sacco a pelo ed in quattro lo portiamo fuori nel grande prato il più lontano possibile, senza che lui manifesti il benché minimo tentativo di risvegliarsi, accorgendosi della cosa…

Non é che abbiano smesso anche gli altri di russare, ma almeno il rumore regolare di sottofondo ci ha permesso di dormire un po’, anche i suoi amici.

Al mattino, grande fu la sua sorpresa…

Noi ci stavamo preparando per la giornata e lo vedevo che parlava con i suoi amici senza avere spiegazioni chiarificatrici di quello che gli era successo nella notte…

La sera ci ritrovammo tutti quanti nell’albergue di Estella, conosciuto per le stanze sovraffollate

(brande pure all’ingresso dei cessi, tutto fà brodo, pur di fare soldi…),

La coscienza di quello che sarebbe successo era ben presente nello spirito di tutti.

La notizia si era diffusa e tutti speravano che noi ripetessimo la cosa nella notte.

Anche i suoi amici ci avevano fatto capire di apprezzare e che non avrebbero fatto le spia…

ma qui c’erano le scale e non c’era un giardino, solo un cortiletto di cemento duro.

Allora, nella notte fonda, lo prendemmo con materasso e tutto quanto e lo deponemmo in cucina giù in basso.

Niente, non si accorgeva di niente! possibile? boh!

A Los Arcos le stanzette erano ancora più piccole dentro la casetta, ma il giardino immenso…

Si era formata una squadretta multinazionale che operava la notte con il consenso di quelli che erano diventati ormai compagni di cammino e la cosa funzionava…

Penso che a quel punto il tizio fosse convinto o lo avessero convinto di essere sonnambulo…

In ogni caso, si svegliava la mattina nei prati, giardini, cortili; aveva dormito e non presentava problemi, visto i litri di birra che inghiottiva nelle sue fauci leonine.

Pero’, ad un certo punto, una soluzione “normale” va trovata.

Non si puo’ continuare ogni notte a trasferirlo fuori e, dopo Logroño, nell’albergue di Navarrete, non c’era cortile, né posto dove metterlo.

Allora, con qualche amico, decidemmo di fare una tappa corta, fermandoci a Viana e lasciando il gruppo tedesco proseguire.

Ci salutammo con abbracci e l’ultima bevuta sulla piazza di Cesare Borgia ed una strizzata d’occhi di complicità.

Ad altri il compito di risolvere la cosa…    ora potevo russare anch’io…

 

KIRA

La ragazza olandese era statuaria, mora e flessuosa.

Il gonnellino corto copre appena l’alto delle cosce abbronzate dal sole del Midi francese alla fine della via del Puy en Velay, quando si siede nell’accueil dopo aver deposto lo zaino senza sforzi.

Di solito aiuto le donne  e le persone anziane a togliersi lo zaino dopo una lunga e faticosa giornata di marcia (so da dove vengono per arrivare fin qui da noi), offro un cioccolatino o una caramella, dell’acqua fresca o una bibita dissetante, le invito a sedersi per riempire il formulario.

Li’ non sapevo che fare.

Lei pareva fare tutto senza sforzo, anche dopo una tappa di 34km…

Faccio un po’ di charme alla mia maniera, nel mio inglese appreso sulle canzoni dei Beatles, ma sempre restando nel professionalismo di un hospitalero veterano che accoglie i pellegrini.

Kira mi dice che é alla fine della via del Puy e che a saint Jean pied de port tornerà a casa.

Arriva uno svizzero malaticcio, che fuma come un turco, tossisce ed ansima e che avanza per la compassione degli altri (o forse é proprio quella che cerca).

La sta seguendo con sforzo ormai da tempo…

Accompagno nel dormitorio, visita docce e cucina, la routine insomma, per familiarizzare la gente all’ambiente e permettergli di godere degli spazi di riposo e riflessione.

Lei mi dice che tornerà giù a vedermi per parlare un po’.

Non so come prendere questa cosa.

Il fatto é che verso la fine del cammino, e lo si nota soprattutto dopo Santiago verso Finisterre, la tensione verso l’obiettivo si allenta, l’organismo si é abituato allo sforzo, bene o male, e ci si é accomodati a tutti quelli che ci troviamo intorno, compagni di cammino, buoni e cattivi, simpatici e rompiballe, scrocconi o disinteressati.

Pero’ per alcuni manca “il ricordo”. La conquista sul cammino. L’avventura. Il brivido proibito perché non c’é molta intimità, normalmente.

(Pero’ chi la vuole, la cerca e la trova…)

Questo per dirvi che sui cammini puo’ succedere di tutto e di più, basta non farsi fretta e lasciar venire.

Comunque, essendo noi degli esseri raziocinanti sentimentali, la promessa celata dell’olandese ci lasciava un po’ titubanti…

Era solo la voglia di conoscere meglio la maison, l’hospitalero ed il suo servizio, il cammino in Spagna per l’anno seguente? oppure bisognava organizzare una sistemazione per la notte lontano da occhi ed orecchie indiscrete?  o mi facevo solo un film???

Non é che facendo l’hospitalero e lavorando 18 ore al giorno si possa mantenere una forma fisica eccellente, soprattutto dopo un camino del norte devastante per le mie giunture sinoviali invecchiate…

Ma la sfida ormai era lanciata, non potevo tirarmi indietro.

Come quella volta ad Arzua che il Cordoba group, compagni di cammino da giorni, mi avevano lanciato la sfida di correre davanti ai torelli durante l’encierro nella festa del paese.

“Tu, ragazzo cinquantenne, vediamo se hai il fegato di correre oggi!”

Ed io, dopo una seduta di diarrea fulminante sul cesso, lo corsi.

E’ vero che lo feci un poco da furbo. Non potevo fare brutta figura davanti alle mie amiche e compagne di cammino.

Pero’ i torelli andavano veloci e possenti…allora, usando alcune colonnine come sottile riparo, li aspettavo furiosi nella carica e li evitavo girando intorno alla colonna per poi corrergli dietro come gli altri per toccargli la coda….Poco coraggio ed un po’ di furbizia!

Qui nella maison ci sono le colonne del chiostro, ma lei viene dritta verso di me, non c’é scampo!

Le faccio visitare i luoghi, parlando di cammino ed altro.

Ti sfioro di qui, ti tocco di là, organizziamo la cena tutti insieme, c’é pure il gateau basco alle ciliege e lo champagne da festa d’addio.

Chiacchiere fino a tardi sul come e perché, la vita, la morte, il cammino…

Lo svizzero non molla, sigaretta dopo sigaretta, svuota le bottiglie e resta li’ seduto.

Vuole assistere od impedire il fattaccio?

Laviamo i piatti, ultimo caffé e preparo i tavoli per la colazione con tutto quello che serve.

Lei é nella stanza di fianco alla mia, in fondo al corridoio, anche se non lo sa.

Dico allo svizzero di spegnere la luce quando andrà a dormire, dico buonanotte a Kira che sta scrivendo nel libro dei ricordi appena fuori dalla cucina ed entro in camera mia…cosi’ lei sa dove dormo.

Dopo mezz’ora, bussano alla porta:” sai, devo alzarmi alle 5 e non ho la sveglia. Ne hai per caso una ?”

“Certo, pero’ puoi restare qui che cosi’ ci alziamo in due…” “OK”

“Can I kiss you?” “Why not”

…breve notte

 

Schiuma al mentolo

Lo chiameremo Jacques per comodità, ma potrebbe chiamarsi altrimenti senza problemi, tanto era bretone e francese con tutti i pregi ed i difetti che hanno le persone che sono francesi centraliste e bretoni per tradizione e distinzione atavica.

Me lo mandavano la coppia di hospitaleri di Labouheyre per vedere se potevo tenerlo un po’ qui nella casa francescana, perché loro non potevano.

Jacques lavorava e Jacqueline non poteva occuparsi di un caso di cui non si capiva bene problemi ed annessi e connessi.

Vecchio camminatore di mille cammini, cosi’ diceva di essere, Jacques non riusciva più ad andare avanti…aveva percorso mille km, era in forma, ben attrezzato, ma di colpo le sue gambe si rifiutavano di fare un passo di più.

 Tendinite? affaticamento muscolare? stanchezza astenica? non si riusciva a capire…

Ogni mattina si alzava alle sette, pronto a partire e non ci riusciva…

Mi avevano detto se per favore lo tenevo qualche giorno, per vedere un po’ se “guariva”.

Non era la prima volta che mi succedeva di avere pellegrini inviati da altri a soggiornare qualche tempo, qui da me, complice il chiostro rilassante, le stanze comode e l’afflusso quotidiano di pellegrini.

E poi…non era forse la casa francescana uno dei migliori albergues di Francia e Navarra? questo si dicevano le genti sentendo le storie di chi era passato da noi…

ed io facevo di tutto per mantenere la nostra nomea.

Cosi’ un giorno era arrivato, (mandato da padre Ihidoy, uno dei fondatori dell’accoglienza sui cammini in Francia) un italiano, ex attore di teatro e cinema, perso nei meandri della vita e degli eccessi, che poi ando’ a perdersi nelle galere della polizia spagnola nel mezzo della via della plata….

Poi una signora abbandonata sul cammino dalle amiche un po’ troppo cartesiane, che non sopportavano di perdere un minuto del loro planning di cammino, tracciato con cura minuziosa e maniacale, e che i suoi dolori facevano ritardare…

Dopo 9 giorni da noi aveva capito che non era colpa sua e la figlia se la riporto’ a casa a fare la nonnina, per poi ritrovarmela l’anno dopo sgambettante come una sedicenne che andava a Finisterre facendosi 1800 km…

O come la franco olandese giovincella e già delusa della vita e degli amori precoci, che era scappata dal convento dove era novizia, per voler ancora provare a vivere normalmente prima di fare una scelta di vita, imposta più dalla sua incapacità di scegliere che da una fede o vocazione…

E che parti’ dopo un mese sul cammino con un pensionato gentile…salvo poi tornare indietro a metà cammino e rinchiudersi ancora una volta nel convento….

Ma torniamo al nostro pellegrino impotente ché i casi sarebbero troppi da citare!

Gli avevo assegnato una stanza singola al primo piano, si alzava, faceva la sua toilette minuziosa e subito un odore di mentolo della sua schiuma da barba e del suo dopobarba si spandeva per il piano, superando anche l’odore del caffé e del pane abbrustolito.

Dovunque passasse, era preceduto e seguito da questo effluvio….

Il primo giorno non gli avevo dato retta, avevo altro da fare…

che prendesse i suoi punti di riferimento, che vedesse e parlasse cogli altri pellegrini, che se la sbrigasse insomma…tanto avevo già visto che restava per un po’.

Non sono medico, ma un po’ d’occhio me lo sono fatto e quando uno ha problemi di deambulazione, lo vedo…

Lui camminava normale, anzi, se non ci fosse stato l’effluvio al mentolo, neanche si sarebbe sentito arrivare, tanto il suo passo era leggero anche sul vecchio impiantito di legno che faceva rumore nei punti più vecchi di giuntura.

La cosa non stava nel fisico, ma doveva essere lui a rendersene conto… non io a dirglielo.

Passa la prima notte ed al mattino fa per andarsene e non se ne va….

Passa la seconda notte ed ancora non ci riesce il mattino dopo…

eppure gli altri, anche in condizioni peggiori, riescono a partire…

lui no! rimane dunque ancora una notte e ciondola in giro per il convento tutto il giorno o sonnecchia in stanza.

La mattina dopo, sempre ben pulito e rasato di fresco con la schiuma da barba al mentolo, non riesce ancora a partire e mi chiede di trasferirsi al dormitorio, dove spende solo 8€ invece degli 11 della stanza…

Allora lo guardo bene in faccia e gli dico che per me va bene, puo’ restare quanto vuole, ma che il suo problema non sono i piedi…ma la testa.

Qualcosa non funziona più bene e si é sregolato nella sua vita ben ordinata, pulita ed organizzata…qualcosa di importante e che lui non riesce ad afferrare e che quindi il suo corpo protesta e non lo lascia continuare il cammino voluto.

Mi guarda stupito ed incredulo, non capisce bene e si sente un poco offeso per questa mia valutazione a freddo, senza che ne avessimo mai parlato prima…

Ma é chiaro che bisogna dargli una scossa perché il morale gli é sceso sotto le scarpe e pure gli altri pellegrini si chiedono che cosa faccia li’ a ciondolare…

E poi mi abbassa il morale della gente e qui c’é cena comunitaria tutte le sere e la gente deve riposare e ripartire l’indomani in forma, non subire la depressione altrui…

Allora devo operare provocando una reazione d’orgoglio, stimolando e stuzzicando, per vedere l’effetto che fa…

Niente, solo una giornata a piangersi addosso nel dormitorio, per poi chiedermi la mattina dopo di tornare in camera singola…

Non funziona, non sono stato capace di smuoverlo, di fare la scintilla giusta, é amorfo come e peggio di prima … E sempre quella puzza di mentolo dovunque……

Pero’ non ero io che potevo smuoverlo.

Infatti, nel pomeriggio arriva una pellegrina sui sessantacinque anni, tutta arzilla ed intraprendente e risveglia in lui il galletto che doveva essere e l’impossibile accade: l’indomani mattina partono insieme dopo una bella colazione…

E a me resta tenace nei corridoi e nelle stanze l’odore di schiuma da barba al mentolo!!

La sua stanza poi, per una settimana non ho potuto darla a nessuno tanto odorava …

Bene la storia finiva qui se non fosse che, per il gioco del planning del servizio di accoglienza, mi ero ritagliato un mese per farmi un cammino in Spagna, dato che le coppie di hospitaleri venivano a turno a sostituirmi.

Ed allora vado anch’io a camminare per riprendere forze ché fare l’hospitalero te ne mangia, di energie fisiche e mentali..

Arrivo a Santiago e vado al solito internet point all’uscita del centro storico.

Sto pagando un’ora di connessione quando mi sento chiamare in francese.

Mi volto e c’é un signore barbuto, ben abbronzato ed in piena forma che faccio fatica a riconoscere, anche perché accompagnato da una bella bionda quarantenne con molto charme ed attributi…

“Ma come? non mi riconosci? sono stato alla casa francescana più di una settimana! non ti ricordi? sono Jacques il bretone, quello che aveva male ai piedi!”

Mizzica, con la barba e senza puzza di mentolo non l’avevo riconosciuto!

” e la signora con cui eri ripartito?”

“Ah quella era troppo vecchia per i miei sessant’anni! non hai visto con chi sono???

 ” eh si che l’ho vista!”

” sai, stiamo insieme da una settimana e mi sento ringiovanito ed in forma come non mai!!!”

Vero é che il cammino puo’ risuscitare anche i morti…mi sono detto !

 

il barone maoista

 Erano anni che gli raccontavo storie di cammino… a lui, figlio unico di un barone di Neuilly, comandante delle forze di liberazione di De Gaulle, erede della carica di balivo del re di Francia, scrittore ed agente di borsa a tempo perso, ritiratosi a Cape Cod negli States, e di una broker di natali umili, portuale comunista il padre, contadini poveri i nonni, della montagna sopra la baie des anges.

A lui, cresciuto nella jet society nobile ed alto borghese della Parigi bene, preso in mezzo giovanissimo nel maggio francese del 68, liceale mezzo rivoluzionario e mezzo pacifista, che aveva aderito ai maoisti della “Cause du peuple” di Sartre e Simone de Beauvoir, con Serge July ed altri “intellettuali rivoluzionari” del momento.

A lui che aveva fatto la scelta di vita di abbandonare tutto e di diventare operaio di fabbrica, 10 anni alla Renault in catena di montaggio, di fare militanza per la classe operaia in mezzo a operai di mille origini diverse, tanto che ogni volantino doveva essere tradotto in almeno 10 lingue per essere compreso, che si era innamorato di una maghrebina che gli aveva dato due figli, che aveva vissuto come una disfatta l’annuncio sartriano e julyano che la lotta di classe era finita nel 1975 perché o si passava alla lotta armata oppure si tornava tutti a casa, che tanto loro non ci credevano poi molto alla rivoluzione, che era più bello scoparsi tutte le compagne e partecipare ai cocktails della Parigi bene…

A lui che si era ritrovato come tanti altri a chiedersi perché, delle scelte e della loro validità, delle persone che aveva seguito, delle ideologie durate un tempo fino al disgelo del ping pong nixoniano che aveva decretato la fine del maoismo e dei fondi distribuiti a pioggia….

Ed allora , hop, tutti a casa…

Chi aveva ancora una famiglia dietro o si era garantito solidi appoggi e posti lucrativi se la vedeva bene….per gli altri, la vita “normale” del proletario……

Lui era tornato dal nonno in cascina a coltivare un orticello, a vivere nella ex stalla in cui pioveva dentro, senza cesso né acqua corrente e con una sola lampadina, a tentare di allevare capre e galline, vivendo di fame e di stenti e leggendo ed approfondendo cose.

La compagna se ne era andata a vivere in un villaggio vicino coi figli, aveva trovato un lavoro.

Lui stava sprofondando in una dialettica tutta sua, di rapporto edipico con sua madre che si era separata dal barone, di ricerca pittorica illimitata, di povertà assoluta, di ricerca religiosa sincretica tra soufismo, cristianismo ed altro..

Lo era già prima, ma era diventato ancora più buono e gentile, aperto e disponibile. Camminava a piedi scalzi inverno come estate ed aveva deciso di andare ad est verso il Tibet e la coscienza di sé ed un giorno parti’…

Poco a poco attraverso’ l’Italia, fermandosi a Torino a lavorare col teatro di strada di Renzo Sicco, poi passo’ in Jugoslavia, sempre nutrendosi di quello che trovava e cercando di fare qualche spettacolino sulle piazze per non dover fare l’elemosina…

Qualche incontro scontro coi poliziotti titini che non esitavano a far uso di armi per farsi capire…é una lingua internazionale!

Ed arrivo’ ad Atene in brutte condizioni, non sapeva dove andare e come curarsi, era diventato un po’ autistico e parlava da solo.

Nel vagabondaggio tra i turisti della capitale greca scovo’ un posto, una specie di grotta sotto il Licabetto, abitata da cani randagi e li’ si fermo’ dividendo il cibo con loro che spesso ne avevano più di lui….

Riprese le forze e comincio’ a dare spettacolini ai turisti generosi e se la cavava…finché un giorno arrivo’ un aereo da Parigi con la madre che se lo riporto’ di forza in Francia…

Proprio adesso che cominciava a cavarsela da solo!

Aveva la pianta dei piedi che era come la suola delle scarpe ed una barba da eremita ed era in piena crisi di lucida follia, solo, sul monte, nella baracca dove il sole calava presto nel pomeriggio… meditava, parlava da solo ed ululava alla luna…

Ogni tanto la compagna passava a trovarlo e se ne andava sconsolata, lo aveva perso ed altre se ne sarebbero occupate…

L’avevo conosciuto nelle stradine del centro storico da amici pizzaioli che ogni tanto ci davano l’invenduto ed io ci mangiavo una settimana e lui pure, avevamo parlato delle esperienze comuni, della vita e delle cose che  potevamo fare…

Poi quando ne avevo avuto bisogno, mi aveva permesso di usare la baracca in montagna per un po’ che dovevo stare nascosto da gente che non mi voleva bene…

Lui scendeva a valle ed ogni tanto saliva su e mangiavamo zuppe fatte di tutto un po’  che tanto nello stomaco tutto si mescola…

Non gli piaceva la compagnia, ma era gentile come sempre.

Alla fine cominciai di nuovo a lavorare a 30 km di li’, che mi facevo ore di cammino a piedi per scendere a valle a prendere il bus e poi ore di lavoro fino a sera quando prendevo l’ultimo bus per tornare e nella notte salivo gli ultimi sei km a piedi nel monte al buio.

Cosa che mi fece conoscere dagli altri abitanti del villaggio e che talvolta mi permetteva di farmi prendere su in stop, che scendere é facile e veloce…ma salire é duro!

Mangiava zuppe multiformi, ma quando portai su, quel primo venerdi’ di paga, lo zaino pieno di cose da mangiare, quasi si mangiava tutta la Nutella….Soufista si’, ma la nutella ed il tiramisù non ce li leva nessuno!!!

A fine settembre me ne andai giù in città a vivere in un solaio al 5 piano senza ascensore che pero’ mi permetteva di risparmiare ore ed ore di viaggio, ma intanto avevo avuto il tempo di riempirgli la testa di storie di cammino ed anche di altro…

Dopo molte tentazioni si era fatto prendere da una pittrice zen che se lo teneva in casa e lo curava quando aveva i suoi momenti no.

Ma doveva andare, ad ovest stavolta!

Lei non voleva e cerco’ di mettermi in mezzo per sconsigliarlo…

Figurati, ora che stavo già alla casa francescana durante la stagione e ne passavano a decine come lui sui cammini…..

Da buon parigino se ne ando’ nel grande magazzino di riferimento per le escursioni, che li’ ti vendono pure il fischietto antiaggressioni ed anticani, e ti riempiono di cose inutili, ma costose…

Io non c’ero, ma dai racconti della pittrice al telefono, quasi si era comprato il di tutto di più del perfetto pellegrino-campeggiatore!

Ma come? lui che camminava a piedi scalzi, vestito con una tunica, ed una zucca per l’acqua, adesso partiva come il più neofita dei neofiti! vallo a capire!

Per il primo pezzo la sua compagna aveva convinto discretamente un vecchio amico di Parigi ad accompagnarlo, facendo valere oscure ragioni mistiche che al terzo giorno sbiadirono alla luce della fatica del camminare…

Poi comincio’ la sua inquietudine e mi chiamava tre volte al giorno, chiedendomi i numeri di telefono degli albergues dove doveva essere passato, e li tempestava di chiamate che non dovevano dar luogo a grandi discorsi, stando la notoria avversione dei francesi alle lingue straniere e soprattutto lo spagnolo parlato con l’accento sull’ultima sillaba!

Qualche ragione di preoccuparsi poteva avercela…le rare volte che lui chiamava da un telefono pubblico, le annunciava contento che aveva regalato le sue super ultra costose scarpe ad un vagabondo che ne aveva bisogno…che la fantastica giacca a vento di goretex ora era sulle spalle di un polacco con la croce sulle spalle che veniva dalle piane profonde del cattolicesimo wojtiliano…che il bel sacco a pelo ultratermico serviva di più ad una ragazza con la febbre da insolazione…

Che insomma, si stava alleggerendo delle cose superflue….

Lei spaventatissima mi chiamava ad ore impossibili, chiedendomi di andare a raggiungerlo e di sorvegliarlo..

Ed io a spiegarle che era normale, che non lo stressasse più di tanto che in ogni caso la comunità in marcia é sollecita nei confronti di quelli che vedono in difficoltà, che se ne sarebbe uscito e più forte di prima…oppure peggio, ma che comunque quella era la vita!

Ormai si era ridotto come ai vecchi tempi, solo l’indispensabile e niente più!

Anche lo zaino da centinaia di euro aveva regalato, che se ci penso mi viene voglia di ammazzarlo, che io dovevo girare con uno zaino da 17 euro che mi segava le spalle e mi massacrava… Non poteva regalarlo a me che ne avevo bisogno?

Ma si era creato un piccolo gruppo con un vecchio camminatore francese che faceva da angelo custode e lo spirito del cammino funzionava…

Anche se, come poi mi disse il vecchio, il rischio c’era che il mio amico finisse nudo come un verme il suo cammino, tanto grande era la sua voglia di spogliarsi dai beni terreni e di dare…

Arrivarono a Finisterre. La sua compagna aveva fatto il viaggio per essere là ad accoglierlo e riportarlo a casa…. e passarono tutti da me alla casa francescana a salutarmi il tempo di una sosta e di un rinfresco.

Ora che dopo dieci anni, lei si é fatta sposare in America per 25 dollari ed é diventata baronessa…

Ora che la vecchia compagna, che gli aveva dato due figli, non gli rivolge più la parola, perché anche lei ci aveva messo del suo e forse ci sperava ancora…

Ora che abitano in centro in mezzo a gente civilizzata e che lui trova il tempo di scappare ogni tanto nel suo monte a rifarsi la scorta di natura…

Ora che io sono ormai via sui cammini…

Ogni tanto, quando sono li’, ci organizziamo una cenetta e ci raccontiamo storie….

ed io di cammini parlo…

A lui si accendono gli occhi e mi dice che presto ripartirà anche lui sul cammino che ne ha nostalgia…

E la signora mi guarda con occhi furiosi e mi dice che ho brutta influenza sugli amici e se lo porta via a mezza serata, perché ha il mal di testa…

Allora che senso ha essere un barone maoista, se non ti puoi neanche godere la libertà che ti sei conquistato a caro prezzo, pagando di persona…

Meglio restare soli e vivere di sogni e di avventure!

 

le margherite di Monica

Mi ero perso sulla montagna…un cane lupo mi aveva sbarrato la strada ad un bivio senza frecce gialle od altri segnali. Non voleva che io passassi e quindi, dopo tre tentativi e quasi convinto che fosse una proprietà privata, mi sono incamminato a sinistra sulla pista sterrata che contornava la montagna.

Mancavano solo 4km  all’albergue di Cadavo Baleira e dopo una lunga e dura salita nel fango liquido di sterco di vacca e con gli occhi che bruciavano per il sale che i miei pori facciali emettevano a getto continuo, la prospettiva di non fare la ripida salita del cane lupo, mi andava bene…

Cammino e mi guardo indietro, alcuni mi seguono, allora mi dico che sono sulla strada giusta…

Non é cosi’!

giro intorno alla montagna, arrivo ad un punto morto, la pista finisce bruscamente nel fianco del monte…

Sotto c’é un’aldeia (tre case) in fondo alla valle.

Scendo giù.

Un vecchio ed un uomo più giovane stanno tagliando legna, mi guardano stupiti, gli dico che mi sono perso, mi guardano e si guardano sconsolati…

Il più giovane mi indica la montagna lassù e mi dice che devo scalarla se voglio ritrovare il cammino.

Sono atterrito.

Mi offrono acqua e compassione.

Penso a quelli dietro di me che ho indotto in errore.

Inizio a salire…sono distrutto e pieno di sale e sudore che cola…avanzo piano tenendo sempre la destra, come mi hanno detto i due taglialegna…in cima tira vento e fà freddo.

Infine una fonte provvidenziale e della menta selvatica da masticare mi tirano un po’ su.

Raccolgo le ultime energie ed arrivo alla strada provinciale e non so dove andare…a destra o a sinistra???

Esito, non so, non ho voglia né le forze per fare un altro errore; non c’é nessuno a cui chiedere…

Ed ecco che vedo per terra sulla carreggiata la grande margherita di Monica, che ieri mi mostrava per sfogliarla, stile:”m’ama, non m’ama” e che io, ridendo, avevo portato a Marc che si prepara alla vita in comune con lei per novembre, come per porlo di fronte al bivio…

La vista della margherita, grande, bianca, un poco rovinata dalla ruota di una macchina, sulla parte che permette di camminare a lato della provinciale, é provvidenziale.

Come un miraggio apparso all’improvviso, quasi per ricordarmi che lei era passata di li’ e che ora mi diceva:”non mi hai sfogliata ieri sera, solo sfiorata con le tue mani durante il massaggio…ora seguimi, da bravo bambino, che ti porto al rifugio di stasera”.

Ed io con le ultime energie rimaste, seguo, passo il pueblo, salgo di nuovo per poi scendere verso l’albergue che é pieno, anche di turisti…quelli che arrivano sempre prima!

Non c’é posto per me come per gli altri 17 che sono arrivati abbastanza stanchi per la giornata di cammino…

solo il duro cemento della palestra con l’hospitalera che vuole 3€ per una doccia calda nell’albergue e altri 3€ per dormire nel palazzetto fuori dal pueblo ..ladra!

Ridiscendo giù all’albergue, mi doccio clandestinamente e sono tutti li’ fuori a lavare i panni, a prendere il sole nel prato, ridendo e scherzando….

Ed allora ci mettiamo tutti uno dietro l’altro, ciascuno massaggiando le spalle indolorite del vicino, mentre Monica si fa coccolare da Marc, come spesso nella giornata…

Che banda! Mi insegnano parolacce inusuali e scopro musica a me sconosciuta del rock spagnolo moderno e Marta, la maestrina catalana, é contenta che la massaggi un po’…

Poi tutti a cena che qui si mangia bene!

Il mattino dopo piove a dirotto, fà freddo e, dopo una notte insonne sul duro cemento del palazzetto, sono a pezzi, con le ossa del bacino  e la carne delle natiche rossa e tumefatta.

Al bar la signora, sposata con un italiano, mi dice che pioverà tutto il giorno per tutti i 35km fino a Lugo.

Un calvario. Non riesco ad ingranare…

la salita mi ammazza, non vedo niente ed ho freddo (siamo in pieno agosto).

Il primo bar é nel paese a 10km.

Vorrei tornare indietro e prendere un bus, un taxi, un passaggio.

Non ce la faccio più!

Ogni giorno mi tocca sorpassare i miei limiti ed affrontare tappe di dure salite ed ancora più difficili discese con freddo vento umidità pioggia o sole…..

sapendo che trovare una branda libera dipende dai turigrinos che viaggiano con auto al seguito, senza zaino e senza problemi perché gli autisti occupano i letti per loro….

Oppure bisogna fare come gli spagnoli che si alzano alle 5 e camminano al buio come dei razzi per arrivare prestissimo all’albergue.

Già che sto tenendo medie giornaliere da 6km all’ora, cosa inconcepibile per me, e pure frustrante, perché non mi lascia godere le bellezze naturali e la compagnia di questo cammino…

Il peggio é che le condizioni estreme mi stanno facendo entrare nel delirio della corsa al posto, ai trucchi ed astuzie varie, in competizione con i gruppi organizzati che vorrebbero imporre la loro forza e che ci fanno dormire spesso e volentieri nei palazzetti senza servizi, mentre loro godono gli albergues pubblici, lasciando come sola alternativa gli hostal a pagamento o i portici delle chiese…

Mierda! sto per cedere su questa salitaccia sotto la pioggia!!!

Ma ecco, per terra, quasi per caso caduta li’, distrattamente posata al suolo, un’altra delle margherite grandi, bianche, di Monica.

Quasi come un segnale per dirmi:” guarda che sono passata di qui, sono davanti, ti aspetto, fatti coraggio, che se ce l’ho fatta io, anche tu puoi arrivarci”.

La vista della margherita mi dà la forza di andare avanti.

Anche stasera a Lugo, rideremo un po’ tutti insieme, questo gruppetto misto che si é formato andando, giorno dopo giorno.

Lei farà un poco le fusa, un po’ di charme.

Come sempre, ciascuno di loro offrirà il suo contributo di convivialità.

Ceneremo tutti insieme con la coppia di Elche (Paco e Feli), con la coppia di Murcia (David e Rosalie), il prof Juan, loro ed io, l’unico straniero.

Come una famiglia peregrina.

Abbiamo perso Olivia che aveva raggiunto i suoi limiti attuali e forse futuri (spero di no), ma ci siamo saldati nel vissuto e per i ricordi futuri…

Le racconto la storia delle margherite e ride come una bambina.

Gli altri sono li’ intorno, domani ci lasceremo; la bottiglia di o rujo che mi sono sobbarcato per 35km  ora la porta David, ma riusciremo un giorno a bercela…o no?

Monica fà le fusa, Marc apprezza, Paco osserva, David spara cazzate e Marta mi fà da prof.

Mentre la coppietta dorme, una discussione pro e contro il catalanismo si accende, coinvolgendo tutti. Non c’é via di scampo, siamo in Spagna, terra di autonomie…

Solo la fame ci spinge fuori alla ricerca della cena, perché il rientro, in questo albergue di psicorigidi, é fissato alle 22,00, tempo massimo, senno’ fuori (come succederà per i quattro madrileni) cosa da pazzi, che solo regole stupide possono provocare.

Monica, la ragazza delle margherite, si traveste da ballerina soubrette stile anni ruggenti can can charleston e cabaret, ed usciamo tutti quanti insieme.

La notte sarà breve ed al mattino alle 8,00 tutti fuori.

Un bar per la colazione.

Scambi di indirizzi ed abbracci e baci.

Forse ci vedremo a Finisterre.

Forse anche poi.

Succede sempre più spesso sui cammini di rivedere facce note.

O forse, un giorno, camminando, una grande margherita bianca mi apparirà, al suolo, come un messaggio: “Flavio, no duermas ! (non dormire)”come mi aveva scritto per terra col bastone lungo il cammino qualche giorno prima.

Buon cammino, fiorellino!

 

 

il ladrone di Mostar

Sempre più spesso capitano sui cammini e negli albergues personaggi a dir poco originali.

Si va dal polacco con tanto di saio e croce di 3 metri, tale una via crucis pasquale, che poi si scopre che é di polistirolo…ai due croati che viaggiano con una carriola verde da muratore in cui hanno messo gli zaini e che spingono a turno….al gruppetto catalano con il carrello da supermercato che fà un casino d’inferno…al caro James, londinese di Chelsea, che in teoria dovrebbe fare un cammino per beneficenza da Londra al Sudafrica per cui della gente paga una sterlina a km, che giunto nel sud della Francia ha deviato dal percorso stabilito per fare una puntata a Santiago e Finisterre, con la sua carrozzina per bambini piena di cose, che poi finirà abbandonata nei monti Galiziani con una ruota forata e lui, in buona compagnia, nutrito ed alloggiato a Moratinos da Marian e dagli inglesi… alla tedesca con i due cani appesantiti dalle borse e lei leggera come l’aria (che ha nel cervello), che moriranno di stenti nella Meseta.

Qui negli albergues, ogni tanto arrivano segnalazioni di furti e violenze varie.

In fondo in cammino c’é una parte dell’umanità con pregi e difetti…

Quindi non mi stupisco molto quando nel pomeriggio estivo vedo arrivare dalla strada giù in basso un tizio con uno zainone da 35kg, capelli a cespuglio tendenti al grigio ed una barba folta sale e pepe.. uno di quelli che vedi che hanno vissuto una vita non proprio regolare…

Stavo seduto fuori con uno di Napoli che faceva il cammino perché era indeciso se farsi prete o no e, più che parlargli, stavo paziente ad ascoltare la sua storia; in fondo, non erano cazzi miei!

Il pellegrino aveva una faccia che mi diceva qualcosa, ma le sue venti credenziali con sellos in ogni direzione di marcia e di ogni cammino, ancora di più..

La regola vuole che ad ogni pellegrino corrisponda una credenziale ed una sola e quando questa si esaurisce, cioé non ci sono più spazi per i sellos, si graffa con un’altra bianca e via andare (da Roma a Finisterre ne avevo usate 5, un bel pacchetto!).

E comunque, dopo il sello finale dell’oficina de peregrinos di Santiago, la si puo’ usare solo per il ritorno a casa.

Questo pellegrino era spagnolo, della Murcia, ed aveva fatto 35 cammini, cosi’ diceva, risiedeva a Mostar in Bosnia e camminava da una vita.

Nei fatti era un vagabondo professionista segnalato dalla federazione come ladro negli albergues.

Glielo dico e lui mi dice che non ha soldi e che comunque non mi porrà problemi, se solo gli permetto di dormire e cucinare da noi.

L’albergue é pieno, non so cosa fare, dovrei stargli dietro giorno e notte, non ne ho voglia…

Allora interviene il napoletano e mi dice che lo farà lui.

Ok, per me va bene.

Gli offre una sigaretta e si siedono fuori a parlare o almeno é il giovane napoletano che parla e l’altro fuma tranquillo ed ogni tanto mi lancia uno sguardo incuriosito.

Io continuo a fare il mio lavoro e tutto procederà bene.

Mi dimentico anche di fare la segnalazione del passaggio del ladro di Mostar, tanto mi aveva confessato che rubava solo quando non poteva fare altrimenti…

 

DENIS

Si era unito a noi un francese con due gambe come tronchi d’albero, manager di grande industria, biondo con occhi azzurri, un tipico francese ben in carne insomma…

Faceva il filo alla nostra love dancer danese che camminava senza niente, perché la tendinite non le aveva lasciato altra scelta che spedire tutto lo zaino a Santiago e camminare solo con  quello che aveva indosso… e vi assicuro che non era molto….Ogni tanto si faceva prestare qualche cosa da me o dalle tedesche, ma é vero che il caldo atroce ed il sole caliente aiutavano molto ad asciugare in fretta le cose…

Il gruppetto camminava ognuno per proprio conto, ma a volte facevamo dei pezzi tutti insieme ed ogni giorno ci davamo appuntamento in questo o quell’albergue per dormire o in questo o quel paese per rifocillarsi tutti insieme…i nostri momenti di convivialità!

Ormai eravamo alla fine del cammino, a Portomarin avevamo festeggiato nei giardinetti l’anniversario di Mette con pane salame e Bailey, liquore dolce che le piaceva molto…

Denis aspettava un amico marsigliese che veniva a raggiungerlo per fare le ultime tappe e ogni tanto spariva per farsi una bevuta al bar con altri amici, come a Rabanal dove ci aveva tenuto svegli tutta la notte con le sue andate e venute al bagno da sbronza vomitosa.

Il giorno dopo ne avevamo riso un po’ e ci aveva raccontato che stava facendo il cammino per disintossicarsi, una spece di voto, ma che lo aveva infranto dopo venti giorni di astinenza, avendo incontrato altri francesi, compagni di allegre bevute…

Ogni tanto spariva e riusciva a trovare da bere anche in contrade deserte.

Lo si vedeva dall’alto camminare sulla strada asfaltata e farsi raccattare da auto per poi ricomparire la sera in albergue.

Quindi non ci siamo preoccupati molto quando al mattino abbiamo cercato di svegliarlo in albergue, dopo la ciucca della sera prima al compleanno, per informarlo di dove ci saremmo incontrati per il pranzo e per dormire.

Aveva biascicato qualcosa e sicuri che l’hospitalera lo avrebbe cacciato fuori alle 8,00, eravamo partiti.

La sera lo avevamo aspettato a lungo, eravamo pure stati intervistati dalla televisione spagnola, noi il gruppo multinazionale di pellegrini…poi avevamo fatto festa con una enorme empanada di carne e due bottiglie di vino rosso, tutti insieme nel cortile dell’albergue.

Ma il suo amico aveva cominciato a preoccuparsi…e noi con lui, dopo un po’, quando verso le 22,00 l’hospitalera venne a chiudere l’albergue e di lui nessuna traccia….

Proviamo a chiamare la polizia, gli ospedali, la cruz roja, gli altri albergues (ai tempi non ce n’erano molti) : niente di niente, sparito, dissolto!

Come puo’ sparire cosi’ uno grande e grosso, biondo e con gli occhi azzurri, che si nota subito?

Dormiamo poco, abbastanza preoccupati; al mattino verso le 9,00 arriva l’hospitalera e le chiediamo di cercarlo ancora…niente, non si trova!

La Protezione civile farà alzare gli elicotteri e la guardia civil mobilizzerà le unità cinofile…

Proseguiamo il nostro cammino, ormai siamo alla fine, Santiago é vicina ed in due giorni ci arriviamo, dormendo per comodità al Monte de Gozo.

Facciamo la festa di compleanno di Max in piazza dell’Obradoiro con lo champagne da lui offerto e le tartas che ci siamo comprate ed ecco apparire il francese in mezzo alla folla di turisti e pellegrini…

“Denis, pezzo di merda, ci hai fatto davvero preoccupare, ti abbiamo cercato ovunque, siamo stati in pensiero! dov’eri, che ti é successo?”

E lui ci racconta che era talmente ubriaco che a stento era riuscito ad uscire dall’albergue, si era messo nel parchetto della sera prima alla festa e ci aveva dormito due giorni e due notti, senza che nessuno lo disturbasse, tanto il suo sonno era profondo.

Intanto tutti lo cercavano nei pressi del cammino, come gli disse l’hospitalera quando se lo vide davanti, chiedendo di potersi lavare…

E lui stupito a chiederle perché lo cercavano???

Eravamo davvero sollevati di averlo li’ con noi, che non era successo niente di grave, a parte il coma etilico, ma un bel vaffanculo se lo prese lo stesso… di sollievo.

 

Deborah con la acca.

Ero all’albergue di Valença do Minho, come sempre vuoto ed abbandonato a se stesso.

Per fortuna, al mio arrivo, avevo intravisto da una finestra della biancheria stesa ad asciugare e quindi avevo bussato a tutte le porte e finestre, finché le tre tedesche punk ferrate che erano dentro, alle prese con i loro problemi di tendinite, mi avevano aperto.

Poi se ne andarono alle 15,30 ed io restavo padrone dell’albergue tutto nuovo e per me solo… che lusso : televisione, cucina splendida, 20 letti su cui scegliere quello più comodo e pulito, docce perfette!!!

Avendo le chiavi, sono uscito a fare spesa al supermercato in basso dopo la curva, ricordi del 2005, ed un olandese mi aspettava al ritorno.

Mi metto a cenare, l’olandese prendeva il sole nel prato bevendo del vino trovato nel frigo, quando qualcuno bussa alla porta.

Una ragazza grande, mora, con lo zaino e tutto quello che serve, era là.

Come spesso, la deformazione professionale o lo spirito di servizio ormai radicato in me, mi porta a fare l’hospitalero anche se non dovrebbero essere fatti miei, e nel mio inglese basico cerco di spiegarle come funziona la cosa, la disposizione dell’albergue ed il resto.

Il tutto  ancora prima di entrare…lei mi guarda bene e poi mi chiede da dove vengo. Italiano, gli rispondo. Italiana, dice lei ridendo.

Oh putain! le dico di entrare e prendersi una branda dove vuole che poi si scambiano quattro chiacchiere.

Io non lo so ancora, ma là comincia una settimana di intimità (é cosi’ che lei la definisce) fatta di parole, confessioni, risate, lunghi giorni di marcia, fino a Santiago ed all’unico abbraccio finale.

Grande, vista di faccia é carina, di lato un po’ spigolosa e si muove un poco rigida, le spalle alte ed impettita come se portasse ancora lo zaino. Insegnante, musicista, la trentina, un sorriso smagliante, Lei vive una vita da precaria in tutto, lavoro, amici, amore. Viene dalle Marche, ma lavora a Bolzano, terra straniera. In effetti, lei insegna italiano, lingua straniera.

Noi parliamo un po’, l’olandese compare e scompare, gli spiego la tappa di domani; un poco di tv e vado a dormire anche perché é ormai un mese che sono in cammino e comincio ad avere gli orari regolati del camminante con la sua routine.

Al mattino, pensando che non ci fosse più nessuno, me ne vado chiudendo la porta a chiave….

Invece lei era ancora là, persa nell’enorme albergue e stanca per il lungo viaggio in aereo e treno, era il suo primo giorno, come mi dirà in seguito.

Quando poi si deciderà a partire, dimentica sul letto il suo diario e dovrà tornare indietro per cercare le chiavi e farsi riaprire l’albergue e cosi’, spupazzarsi una doppia tappa: come primo giorno non é male!

La rivedro’ all’albergue di O Porriño tardi la sera e ceniamo insieme. C’é solo una famigliola di tre persone, spagnole, oltre a noi in questo albergue industriale di una città operaia.

Lei é seria, precisa, disponibile, attenta; ho voglia di chiacchierare, sono giorni che cammino da solo…lei mi ascolta e pone questioni sensate…io la inondo di storie di vita…lei mi chiede se possiamo camminare insieme il giorno dopo e cosi’ sarà fino a Santiago.

Lei cammina veloce, più veloce di me con le sue lunghe leve, poi rallenta un poco quando si rende conto delle sue brusche accelerazioni ogni volta che riprendiamo a camminare dopo una pausa…segno di persona attenta agli altri!

Piove per momenti. Lei mi racconta il suo amore che finisce o meglio che é finito già per lo svizzero. Si erano conosciuti durante uno stage in Germania, anni prima, ed hanno intrattenuto una corrispondenza epistolare via mail.

Lui era già fidanzato con una da 9 anni, che l’aveva lasciato come uno straccio buttato via, stanca (é una mia idea) di aspettare il matrimonio promesso e mai definito; un lavoro da contabile alla CRI in paesi esotici ed il sogno progetto di aprire un B&B in Ecuador.

Figlio di mamma particolare, cresciuto da suo padre, sua zia e sua nonna, scapolo senza problemi, lui vive e si lascia vivere.

Lei un giorno decide d’andare a trovarlo in Nepal. Vivono nella stessa casa, ma non si toccheranno mai durante 15 giorni (!!), come se fossero solo conoscenti.

Lei si fà dei problemi, lui no.

Tre mesi dopo, a natale, lei ritornerà in Nepal e, secondo me, forza la situazione e lo fanno…

A Pasqua lui la invita in Svizzera dalla mamma. Eccellente accoglienza.

Immaginate un rapporto italo-svizzero sempre parlando in inglese… dove sono le sfumature, le paroline dolci….? Con in aggiunta il rigore svizzero del funzionario CRI.

Cose da spararsi un colpo…

Lui la lascia venire, lei si ostina. Lei vuole cambiare vita e paese. Ha un passato doloroso da cui vuole uscire con una storia d’amore.

 

Io posso solo offrirle qualche suggerimento maschile per chiarire il suo rapporto con l’uomo per vedere se é possibile ricucire il legame senza troppo esporsi: “chiedigli aiuto per trovare lavoro alla CRI od in un’altra ONG, tu vedrai cosi’ se ti stima davvero come persona intelligente e se si smuove per aiutarti”. “Non anteporre il vostro rapporto, quale che sia, metti in evidenza le tue competenze e capacità, poi si vedrà…”

Noi camminiamo insieme, mangiamo insieme, ma lei dorme lontano da me, vicino alla famigliola.

A Pontevedra, dopo esserci abbuffati di dolci e gelati (a volte in cammino ci prendono delle strane voglie di golosità), noi rientriamo all’alberge e succede una cosa orribile.

Arrivano sei ragazze adolescenti (cilene, argentine, francesi) senza credenziale che chiedono di dormire nell’albergue; stanno aspettando amici spagnoli per fare insieme il cammino di Santiago. Una porta il ritratto della virgen de guadalupe tra le mani, come si usa nei pellegrinaggi in centro e sud America.

Malgrado questo, le due hospitalere stronze non le lasciano restare, pretestando che questo non é un albergue da inizio cammino, solo di passaggio…

Ma che cazzo vuol dire stà cosa? Cerco di intervenire, forte del mio statuto di hospitalero della federazione. Niente da fare!

Allora dico alle ragazze ormai in panico per questa storia di alloggio per la notte, che quando alle dieci di sera le due psicorigide se ne andranno per fine turno, loro suonino il campanello ed io dall’interno gli apriro’.

E’ proprio sfiga! oggi é lunedi’ e loro fanno la riunione settimanale dell’associazione….

Le ragazze suonano e va ad aprire uno torvo che le insulta, trattandole da truffatrici etc etc… Intervengo io infuriato. L’albergue é semivuoto. La discussione si avvelena come se le ragazze fossero delle delinquenti. Ma dove siamo capitati?

“L’albergue de paso é nostro e decidiamo noi! che vadano a dormire sotto la pensilina della stazione! qui non devono stare!”

Disgustato me ne vado in bagno e poi in branda.

E nel buio vedo avanzare nel corridoio tra le brande un corteo con tanto di lampada infrarossi…é tutto il comité dell’associazione venuto a cercarmi per buttarmi fuori!

Ma forse perché ho tolto gli occhiali per dormire o forse perché le brande sono coperte da vestiti ed asciugamani messi li’ ad asciugare, non mi trovano.

Le chicas sono messe alla porta, anche se piove a dirotto…dormiranno per terra, fuori della stazione. Albergue di merda, gente di merda!

Al mattino, il torvo é li’ che mi aspetta… vedendomi mi apostrofa duramente, lo mando affanculo ed esco a camminare con Deborah sotto la pioggia…normale, siamo a Pontevedra, qui piove sempre!

Vado a ritrovare il silenzio, i boschi, o rujo, Pili e Santiago a Portas de Briallos.

Camminiamo parlando. Un po’ di fango ed acqua.

All’albergue, come sempre, lei da una parte ed io dall’altra.

Ritroviamo le ragazze, sono diventato un po’ il loro protettore, gli amici ed amiche spagnole le raggiungono, mi invitano ad una veglia di preghiera notturna…beata gioventù.

Rivedo Pili dopo due anni, Santiago é via per lavoro. Buona gente. L’albergue é perfetto.

Ripartiamo il mattino dopo tranquilli, Padron ci attende.

Ormai parliamo di tutto, osserviamo i turigrinos che dormono negli hotel e che solo dormirono con noi a Pontevedra e poi mai più.  Si vede che la loro guida gli consigliava di fare almeno una volta l’esperienza di un albergue de peregrinos ahahaha !!!!

Non so perché Deborah é qui sul cammino portoghese. Cercava solitudine o compagnia?

Ha trovato l’una e l’altra. Conosciamo le persone che camminano con noi: i brasiliani rumorosi, il portoghese stronzo che mangia sempre e che farà dispetti fino alla fine, i turisti profittatori del letto gratis con l’auto fuori dall’albergue, gli scandinavi dalle gambe rotte per i troppi km diarii. Il microcosmo del cammino.

Cena ricca con pulpo e ternera, vino, o rujo e notte insonne.

Deborah ha i giorni contati ed appena a Santiago deve involarsi.

Compra il biglietto su internet, mangiamo un gelato dopo una tappa finale lunga e difficile.

Prende la navetta per l’aeroporto, dopo un abbraccio lungo e forte senza parole.

Io vado al seminario menor dove ritrovo le chicas che mi aiutano a sentirmi meno solo.

Trovero’, una settimana dopo, un mail di tenerezza.

Conclusione: la corrispondenza via mail é proseguita. La sua ricerca dell’anima gemella anche. Con altri errori ed esitazioni.

Io mi sono attenuto al ruolo di ascolto e talvolta di consiglio, senza esagerare.

Alla fine ha trovato un messicano americano e si sono sposati, anche se ancora non vivono insieme, problemi di permesso di soggiorno. Forse verrà lui a vivere in Italia.

Ho fatto i miei auguri. Buona vita e buona strada!

PS: anche il matrimonio col messicano é finito male, le cose della vita….

 

**LA CATTOLICA DEL MAR DE FORA

L’avventura, il brivido proibito, i freni inibitori che saltano…

Mi ricordo una prof francese cattolica integrista, di quelle davvero monocordi, che si lamentava sempre che le chiese erano chiuse, che non c’era la messa la sera, che i pellegrini non erano osservanti e praticanti, che c’era troppa promiscuità e patati e patata…

Ci seguiva passo a passo, tappa dopo tappa, come una zecca e parlava anche se non la ascoltavi…

Era forse l’abitudine delle insegnanti ormai consone alla disattenzione cronica dei loro studenti?

Fino a Finisterre.

Là, era il caldo agosto 2003 secco ed arido, tutti finimmo a campeggiare in spiaggia al Mar de Fora, una specie di riedizione dell’epoca hippy, dei festival e dei raduni con chitarre, falo’, bagni nudi, cucina collettiva, stare insieme fino all’alba…

Poi, al mattino tardi, si scendeva in paese a fare la doccia all’albergue, a fare colazione e provviste per il giorno e la notte.

Ed ogni giorno arrivavano dei nuovi, alla fine del cammino.

Molti vivevano nudi, con la tipica abbronzatura “da muratore” del cammino.

La prof francese, anche….

Cosa succedeva? Conversione da san Paolo sulla via di Damasco o esplosione di impulsi primari troppo a lungo repressi?

Ogni giorno ed ogni notte ne cambiava uno.

Senza freni alle sue voglie, portava il suo corpo affamato a soddisfare fame e sete, senza ritegno, urlando i suoi orgasmi nella notte…

Approfittando di un giro al bar collettivo giù in paese, la avvicino e le dico:” Ma scusa un po’, non ti pare di esagerare? Prima ci rompevi i coglioni a tutti quanti con il tuo integrismo ed adesso ci spacchi i timpani con il tuo assatanamento debordante”.

E lei, arrossendo:”sai, mi sono aperta…!!!”

 

Gianni ed il magico Alverman.

Biondino, col naso a punta, un berrettino di traverso sui ricciolini e gli occhi azzurri, sempre sorridente, mille cose appese ciondolanti allo zaino, Angel della zona di Madrid camminava con un amico che sarebbe presto tornato a casa, tanto il cammino norte nel paese basco é duro… Più che il cammino, cercava le vacanze ed era venuto sul norte costa perché gli avevano detto che c’era il mare!!!

si’, forse, laggiù in basso, oltre le montagne o giù dalle falesie della torturata costa basca…li’ sotto c’era il mare, forse…….!!!

Dal primo giorno il suo chiodo fisso era : “hay playa?” (c’é la spiaggia?) e lo chiedeva a tutti, chiedendo di dare un’occhiata alle varie guide che circolavano sui tavoli e negli albergues e preparando improbabili percorsi lungo la spiaggia che venivano vanificati dalle scogliere a picco con profondità abissali, con risalite mostruose su rocce taglienti per decine di metri a mani nude con zaino in spalla, per ritrovare strade e sentieri e talvolta noi sul cammino che lo guardavamo stupiti: “ma da dove arrivi?” “da laggiù” rispondeva con un mezzo sorriso “no hay playa” desolato…

Una sera ci siamo messi a tavolino e gli ho fatto tutto il pezzo del norte fino a Oviedo segnandogli tutte le spiagge sul cammino.

Era felice! mi guarda e mi dice :”vado a comprare la tavola da surf?”

“Ma stai scherzando? come fai a portartela in spalla con lo zaino e tutto il bailamme che hai appeso?”

 “hai ragione, non compro la tavola, solo quella a metà, che usano i bambini per scivolare sull’acqua, la compro domani a Castro Urdiales”.

Bon, era partito nel suo sogno! partiva presto, scendeva alle spiagge camminando su sentieri tutti suoi, faceva il suo “surf” e la sera arrivava sul tardi, chiedendo con aria semplice: “hay sitio?”(c’é posto?)

E noi in coro: “hay playa?” e lui rideva a crepapelle e ci raccontava con aria semplice le sue storie mentre mangiavamo tutti insieme.

Le ragazze di Murcia, psicologhe di mestiere, avevano intuito un certo “ritardo” nel nostro pellegrino di playa e curiose come delle mosche volevano sapere vita, morte e miracoli…

Angel fini’ per raccontare di lavorare in una comunità aperta di minusvalidi mentali e che questa era la prima volta che lo lasciavano andare da solo….(lavorava e lo “lasciavano” andare???) e che si stava divertendo perché imparava ogni giorno nuove cose.

Ecco, per esempio, “avete notato le balle rotonde di fieno o erba nei campi?”

“si’ perché?”

“perché alcune sono avvolte di plastica bianca ed altre di plastica verde e di plastica nera, perché?”

E tutti a guardarci sbigottiti….boh? “avran finito quelle di plastica nera”” saran di un’erba diversa” “saran proprietari diversi” e via dicendo..

Il giorno dopo, a tutti i contadini che incontravamo sul cammino, inevitabilmente ponevamo la stessa questione, senza mai avere risposte soddisfacenti…

Ma era ormai una consuetudine vederlo arrivare la sera con la sua mezza tavola ciondolante dallo zainetto pieno di paccottiglia, sorridente e felice per tutto quello che gli stava succedendo.

“Che cosa farai dopo?” gli chiedevamo. “Non so, penso che andro’ a lavorare in una comunità fuori Madrid e che li portero’ sul cammino con me”.

L’ultima volta che lo vidi era seduto su una panchina di fronte alla spiaggia di San Antolin, dopo il vecchio monastero in rovina, e mi disse :”forse mi fermo qui per un po’….é un bel posto con tanti surfisti e si puo’ dormire in spiaggia”.

Abbiamo preso un caffé io e una bibita lui, ci siamo salutati e non l’ho più rivisto, né nel mio soggiorno a Finisterre ho avuto modo di vedere se era davvero arrivato fino alla fine…ma forse, per lui la fine era solo “la playa”!

 

ANITA

Arrivato la sera nell’albergue di Salamanca, mi accoglie Raquel, hospitalera con cagnolino, di Vitoria Gasteiz. Conosciamo alcune persone legate al cammino e ne discutiamo un po’.

Arriva una ragazza che si mette a cenare sola. Poi due tipi che si riveleranno tedesco e svizzero. Siamo tutti nella stessa camera, 4 in tutto…

Pare che qui viga il vezzo di mettere tutti quanti sempre nella stessa camera, anche se ce ne sono di vuote, perché gli hospitaleri non hanno molta voglia di perdere tempo a pulire (impediscono anche di fare la cucina, anche se ce n’é una molto attrezzata…)

E mentre loro se ne vanno fuori dopo le 22,00 a spasso per la città (Raquel se ne va ad un concerto), noi pellegrini dobbiamo essere chiusi dentro in questa struttura sita in mezzo ai giardini, dove la gente viene a tutte le ore del giorno e della notte a farsi la passeggiata, la corte e godere il fresco dei vialetti alberati e delle fontane…

Immaginatevi il paradosso e le notti insonni per il caldo  ed i rumori !!!

Dopo aver mangiucchiato qualcosa nel salone d’ingresso, discuto un po’ con il rimpiazzo di Raquel che é appena arrivato e che da buon approfittatore ha scoperto come farsi 15 giorni di vacanza nei posti interessanti con la scusa di fare servizio come hospitalero, senza fare poi nulla….e te lo racconta pure con aria complice !

La tipa sola, con le lentiggini, cammina leggera come un gatto, bel fisico, bel faccino imbronciato, bella bocca carnosa ed occhioni che luccicano.

Parla spagnolo, anche se é tedesca di Amburgo; età indefinibile, fisico da top model, una ferita recente e profonda al cuore.

Sembra sempre sul punto di piangere e spesso lo fà di nascosto e poi torna con gli occhi rossi e gonfi di pianto.

Al mattino, gli altri due sembrano aspettarla..

Lei se la prende comoda, ha l’aria di aspettare che io le parli…

Io la saluto e me ne vado ed arrivero’ al rifugio seguente per primo e da solo. Loro dopo.

Mi metto a fare la siesta e, strano, lei si preoccupa per me, spegne la luce e chiude la porta che separa la stanza dalla cucina-ingresso-soggiorno.

La sera ceniamo insieme, io riso, loro pasta.

Anna traduce perché Ronny parla un poco inglese e Friedrich solo tedesco. Solite cose: l’Italia, il cammino, etc etc.

Al mattino, (come sempre, mi dice lei) Friedrich lo svizzero si alza alle 6,00 e sta li’ ad aspettare… Ronny alle 7,00 ed aspetta… io alle 8,00, mi preparo lo zaino e tutto quanto…lei sta li’ vicino al letto e non si decide a partire…

Alla fine i due se ne vanno…li trovero’ poi a metà tappa che la aspettano seduti sotto il sole (qui sulla Plata non ci sono molti ripari!).

Io mi metto lo zaino e le chiedo se resta li’…perché la chiave deve essere resa al comune.

Apre il rubinetto delle parole…ascolto…

Poi decido che é venuto il tempo di andare e la lascio li’.

Tappa dura sulla strada nazionale, sole e mal di piedi da asfalto.

Al rifugio arrivo primo e mi sistemo.

Poi i due che avevo incontrato sul cammino che si piazzano in un’altra stanza.

Andiamo a mangiare insieme e troviamo lei che arriva.

Quando torno, si é sistemata nella mia stanza vicino a me. Le dico che vorrei fare la siesta, mi chiude le persiane, spegne la luce, chiude la porta e mi lascia riposare.

Che carina, che attenzione, che delicatezza! Stento a credere che esistano ancora ragazze gentili…

La prova: arrivano due tedesche possessive e con la scusa di fare una stanza di sole donne, in pratica mi obbligano ad andarmene nella stanza dei due germanici.

Sono un poco infuriato…Anita se ne va a dormire presto e la lascio tranquilla.

La ritrovo l’indomani sul cammino, seduta sul poggio assolato mangiando queso.

Stavolta é partita per prima e quindi, dopo aver passato tutti gli altri, la ritrovo per ultima.

Il sole picchia duro, non c’é ombra e sto cuocendo lentamente tutto il lato destro del corpo in questo cammino da sud a nord.

Mi accovaccio, zaino in spalla, e la saluto: “hola, brujita del norte (streghetta del nord)! Vorrei ringraziarti per avermi permesso di fare la siesta ieri, chiudendo le persiane, spegnendo la luce e accostando la porta.”

Sorride.

Arrivano i 2+2 che avevo passato e si siedono al sole.

Io me ne vado.

Al rifugio arrivo ancora primo, lei subito dietro.

Perché non mi ha chiamato? era subito dietro di me! boh?!

Che caldo! doccia, lavaggio indumenti e bar per bocadillo e bibita.

Loro sono già là, non sono passati all’albergue.

Friedrich, lo svizzero felice, ed una delle tedesche rompiballe se ne vanno a Zamora (5 ore di marcia in più).

Ronny, che é un giovanotto gentile ed un poco triste, e la chiacchierona possessiva restano qui con noi.

Alla fine si sono formate tre strane coppie….

Anita si siede al mio tavolo con un vino tinto e parliamo…o meglio, le parlo di chi sono e di che cosa faccio. Capisce tutto?

Comunque risponde a tono e fa osservazioni serie, pero’ come prese da un libro, apprese a memoria.

Vedo, intuisco che ha bisogno di punti fermi. Si é data delle risposte sui cambi repentini della sua vita, a cicli di tre anni, ma qualcosa si cela dietro.

Cose sfiorate: i figli, la famiglia, il lavoro, la danza, gli uomini, la droga.

Pero’ non vuole che io conosca la sua verità. E’ una bella bimba in cerca di assoluto relativo. Vedremo…

Al mattino la trovo davanti al bar aspettando che apra per un caffé…”ciao, ci vediamo dopo, a Zamora”. “Buen camino”

Come spesso arrivo prima io, gli altri li ho persi. Poi Ronny. Mangiamo un panino sulle scale della chiesa, unico posto all’ombra. Spunta lei, veloce come un fulmine. Vola?

E per ultima la chiacchierona invadente e possessiva che cerca vittime pazienti che ascoltino le sue cose e che le facciano compagnia.

L’albergue nuovo apre tardi e quindi andiamo in centro città, nel paseo di negozi e di folla, e ci rifugiamo in un bar.

Poi, nell’albergue, la tedesca invadente occupa il letto nella stanza con Ronny ed Anita ed allora io mi prendo una stanza da solo offerta da Alfonso, il presidente, a dispetto dell’ordine dell’hospitalero di stare tutti nella stessa stanza (ma é un vizio?) perché non vuole faticare a pulire per i pellegrini…

Ma che razza di hospitaleri ci sono su questa via della Plata?

Alfonso Ramos de Castro é una persona squisita e ci offre pure l’uso del computer e le chiavi dell’albergue per poter andare a cena in compagnia di Julia, amica del cammino della associazione locale.

Dormiro’ benissimo come un pashà, pero’ solo dalle due di notte in poi….

Perché, dopo una cena abbondante ed un paseo notturno, dopo aver approfittato di internet, raccontandoci storie, dopo che Ronny se ne é andato a dormire, Anita si é aperta come un fiume in piena e mi ha raccontato la sua storia.

La famiglia tradizionale, la fuga per la libertà a 12 anni, gli studi di matematica, il lavoro da hostess, la danza, gli amori coi tossici per 10 anni che le hanno rovinato l’adolescenza, l’alcool, la rigidità obbligata per poterne uscire, gli amori famosi con uomini maturi e ricchi, la voglia di fuggire da una storia logorante ed opprimente, il cammino come via di fuga, Dio e la presenza di un angelo al suo fianco come punti fermi, l’incontro con padre Blas, il prete hospitalero di Fuenterroble ed i sei mesi passati li’ a lavorare come cameriera al bar del pueblo, l’incontro con il tossico ed il colpo di fulmine, la cacciata dall’albergue….

Ora sorride spesso, anzi se la ride di brutto per una minima cosa.

Pare impazzita dal piacere di ritornare a stare bene. Fà piacere guardarla, porta un po’ di allegria a noi poveri pellegrini scottati a strisce bianco-rosse-nere con tutte le sfumature…

Ma resta un aspetto di fragilità sottostante e di indecisione su cosa fare ora della sua vita, fà tenerezza.

L’estate sarà lunga, il cammino corto… Cadaqués…Amburgo….studiare..lavorare???

2a parte

Di colpo, mi sento un poco solo. Già troppo vecchio per le giovani genti e per le signore.

Questo pomeriggio, dopo la terza lunga tappa di montagna, abbiamo deciso di fermarci qui a Campobecerros.

Anita ha un problema al piede, capriccio o realtà?

Siamo rimasti in tre, lei, Ronny ed io. L’altra invadente ha mollato ed é partita in bus per cercare di ritrovare Friedrich e l’altra possessiva….evviva!

Anita ci sta facendo passare dei giorni che mutano dal sole pieno e ridente alle nuvole tempestose.

Il peso delle sue esperienze passate e recenti o molto più semplicemente lei é fatta cosi’?

La principessina del pisello vive nel suo mondo…talvolta é una bambina, una scolaretta…non riesco ad immaginarla hostess, cuoca professionista, passando da una vita “dissoluta” e “tossica” ad una da jet society intrisa di fede religiosa….e comunque….

Vedendola cosi’ stravolta e stanca, le propongo un massaggio rilassante, in pubblico, qui nel bar. Difficile all’inizio, si é poi rilassata. Quasi dormiva sulla sedia del bar!

Andiamo a fare la siesta…adesso, che ne abbiamo bisogno.

Il tossico le ha lasciato come souvenir una bella uretrite dolorosa e quindi niente sesso, siamo inglesi….

Allora la lascio alle sue storie, che vanno e vengono come le sue tristezze e le sue arrabbiature per i casi della vita…ogni tanto mi chiede un massaggio….

Ancora 10 giorni insieme….sarà dura!

Anita non sta bene, l’uretrite la fa pisciare sangue, eritemi e bollicine le stanno coprendo le gambe e le braccia…il dolore e la paura di antichi mali la rendono aggressiva e solitaria, come una cagna ringhiosa…

Ne faccio le spese anch’io…lei cammina sempre da sola, davanti o dietro a noi…Ronny ormai si é incollato a me che neanche accelerando a morte non riesco a scollarmelo di dosso..ha i suoi problemi anche lui…

In Ourense la crisi si fà grave, se ne sta da sola, in piena crisi di crollo..il caldo é soffocante, la lasciamo in pace.

In fondo Anita mi piace con gli occhi, le sono affezionato col cuore, ma la mia testa é lontana, da un’altra parte e quindi non c’é amore…

Notte caldissima e lunga in mezzo a decine di pellegrini, perché cominciano qui quelli degli ultimi 100 km..

Ho la tosse e decido di chiuderla li’; mi preparo un caffé giù in basso e prima di partire le sussurro :” ciao Anouska, me ne vado”, anche per svegliarla dal sonno comatoso in cui si trova immersa e che neanche la mandria vociante dei nuovi pellegrini é riuscita a svegliarla…

Pare una bambina troppo cresciuta coi suoi occhioni tristi ed assonnati.

Tutta la sua rabbia ed il rancore contro tutti e tutto si é estinta come per miracolo…

Lei é di nuovo amichevole…ma il filo si é rotto, anche se decidiamo alla prima sosta insieme di formare la pilgrim family e di finire in cammino insieme, lo giuro!

Mancano 4 giorni alla fine, giorni di alti e bassi, di ricordi e di tristezza, di silenzi e di chiacchierate improvvise, promesse di ritrovarsi anche dopo, da qualche parte… promesse….

Non mi arrabbio più di tanto, prendo quello che passa il convento ed arriviamo a Santiago insieme.

Il cammino é stato davvero duro….un ultimo abbraccio ed un lungo bacione come addio….ciao!

Restano tante foto che Ronny ci faceva di nascosto e qualche bel ricordo che via via coprirà quelli brutti…

Una mail di spiegazioni e di notizie positive a natale faranno il resto…

**Dago.

In realtà non si chiamava cosi’, ma questo stava scritto sulla credenziale di questo personaggio che si arrabattava nelle pieghe della vita con una sicumera ed una “coscienza di se” che é difficile da trovare nelle persone normali.

Questo faceva di lui l’uomo di molte sfide con se stesso e gli altri e di pochi scrupoli….

Lo conobbi quasi alla fine del mio cammino 2006 quando avevo raccattato una giovincella in perdizione, seduta piangente in un prato in mezzo a niente, che non poteva o non voleva più camminare, una piedi dolci un po’ infantile che probabilmente gli altri avevano abbandonato al suo destino ormai stufi dei suoi piagnistei.

Mancava poco all’albergue provisional di Vilaserio del mio amico Herminio e riuscii a farla arrivare fino là.

Seduto al bar c’era lui, Dago, sorriso smagliante da cacciatore che aspetta la sua preda, zainetto leggero, leggendo un giornale chissà da quante ore o giorni…

La ragazza si accascia e lui guarda me con aria di dire “qualcosa non va?” ed io gli spiego in poche parole che secondo me quella era giunta a fine corsa e poi passo ai saluti del mio amico barista, di sua figlia Silvia, della moglie, ai ricordi miei in quel posto, alla nana che spia i pellegrini dalla finestra di fronte e via andare…

Dago intanto si stava occupando della ragazzina che ora stava già meglio…il fascino animale del mio futuro amico faceva già effetto…e decidiamo tutti di fermarci li’, tanto ormai Olveiroa sarà pieno come sempre e non ci sarà più niente da mangiare.

Erano ancora i tempi in cui Puri preparava ogni sera la cena per tutti con i donativi lasciati il giorno prima e si cenava tutti quanti insieme… non come ora che ci sono ristoranti e bar.

Mi mangio un bel paninazzo con frittata, jamon y queso, di quelli che rinsaviscono un morto; la ragazza e Dago se ne vanno al rifugio.

Verso le quattro ci vado anch’io e li vedo sdraiati a prendere il sole nel cortile della ex scuola con la nana che li spia dalla casa di fronte e loro ridono come pazzi e fanno finta di fare sesso….uno spasso!

Salgo su in una delle stanze, sistemo due cartoni per terra come materasso e mi faccio una doccia, poi la siesta e quei due sempre a fare casino nel cortile…

A sera esco per andare da Herminio a mangiare qualcosa e loro mi seguono. Poi ritorno a dormire e loro giù nel salone sempre a ridere e scherzare! é vero che Dago ci sa fare, lei ha pagato panini e tutto quanto (ma non per me che sono ospite del bar).

Verso le due il fruscio si estende ad una stanzetta di fronte alla mia…cazzo, non potevano restare giù a scopare in salone??? adesso chi riesce più a dormire? loro!  poco, ma sicuro!

Riprendo il cammino verso Olveiroa dove arrivo presto, sicuro di avere posto e loro arrivano molto tardi, ma per non averli tra i piedi, con Puri si decide di mandarli a dormire nell’horreo matrimoniale dietro al rifugio….

L’indomani tappa lunga verso Cee sui monti e li perdo. Pero’ al mattino dopo ritrovo Dago che sta scuotendo un albero di pere ancora acerbe sulla strada verso Redonda.

Dago che fai? Ho fame, dice lui e mi spiega che ha deciso di fare tutto il camino frances da Roncisvalle senza un soldo in tasca e con una credenziale intestata al suo nome d’artista. Fino a quando c’erano gli albergues con cucina riusciva a trovare qualcosa da cucinare e da mangiare, oppure si faceva invitare da qualche signora in cerca di compagnia o caritatevole, ma spesso doveva accontentarsi di far finta di leggere un libro od il giornale mentre gli altri mangiavano ed a lui brontolava lo stomaco…

Ma una sfida era sacra per lui, cresciuto da madre cantatrice, donna di bella vita, senza un padre, alla ricerca del suo attimo di gloria o del successo come attore, scrittore, playboy etc etc

Ci teneva a farmi sapere che stava quasi per raggiungere il suo scopo, arrivare a Finisterre e raccogliere anche la Fisterrana come trofeo di quell’estate di sfide col suo nome d’arte!

E li’ l’ho perso, inghiottito dal gruppo hippie della grotta alla spiaggia del mar de fora… ed io dovevo tornare in fretta in mezzo alla Meseta per il servizio come hospitalero…

2a parte

Nel 2009 ho fatto un lungo cammino da Roma a Muxia e Fisterra per la morte dei miei genitori e per la rottura dell’incarico di responsabile della casa francescana di st Palais a pasqua. Dovevo riflettere e molto, su cosa fare ancora della mia vita…..e mi sono messo in cammino per cinque mesi….

Il mio stupore , a settembre, quando sono arrivato a Fisterra all’albergue de Paz del mio amico Roberto, é stato di vedere stravaccato sul divano all’ingresso dell’albergue quella vecchia conoscenza di Dago…

Che cazzo ci fai qui? hai rifatto il cammino senza soldi? “No , sono l’hospitalero qui da marzo fino a fine ottobre” “Bene, raccontami la storia…”

In effetti nel 2006 si era fermato in spiaggia fino all’autunno, poi aveva agganciato una tipa di Lugo e si era installato in casa da lei per un paio d’anni finché stufo se ne era ritornato in spiaggia a Finisterre dopo aver preso a prestito la macchina di lei che, come sapro’, ora stava nascosta con le gomme tagliate in un garage della nuova fiamma, che non era altri che la barista di Roberto, Silvia, sposata e con due figli, che aveva mollato marito e casa alla Canarie per tornare a Finisterre e che gli correva dietro da un po’ mentre lui correva dietro a tutte le pellegrine  senza fregarsene per niente…

Insomma, era sopravvissuto all’inverno vivendo in grotta, dormendo in auto, mendicando un po’ di cibo, pescando di frodo e facendo qualche traffico con Madrid dove ogni tanto cercava vecchi contatti, di quelli che non volevano ancora fargli la pelle…

Poi aveva preso dei soldi a prestito (riusciva a farsi fare credito perché poco a poco, a furia di favori, era riuscito ad entrare nelle grazie di tutti… ed un po’ anche lo temevano perché poteva sempre scoparsi la moglie del tipo se questi rifiutava) ed aveva scritto e pubblicato “a sue spese” un libricino di poesie su Finisterre che aveva venduto ai turisti.

A primavera, Roberto gli aveva ceduto il suo appartamento vista mare in pieno centro, davanti al bar, e lo aveva messo come hospitalero all’albergue al pomeriggio e sera e cosi’ le cose sembravano filare per il meglio: casa, lavoro, donne, alcool, fumo, contrabbando e via andare…

Quasi ricco sono, mi dice e mi chiede di installarmi da lui che cosi’ Silvia non gli rompe più le balle, tanto ad ottobre arriva la catalana dalle grandi tette, che lui ci si divertirà un po’ fino a quando gli chiederà di andare a vivere da lei a Barcelona, ché ormai Fisterra non ha molto più da offrirgli….

Bene, se i suoi piani strategici erano perfetti o perlomeno ben studiati, la sua casa era uno schifo, ma davvero lercia, sudicia, sporca di grasso e di pentole lasciate li’ a marcire da giorni con indumenti buttati alla rinfusa in tutti gli angoli….

Come faceva a portare li’ le donne in quel sozzume? mi veniva da vomitare mentre ripulivo tutta quella merda, senno’ come avrei fatto a starci od anche solo farmi una doccia?

Mi sistemo nel soggiorno col materasso in terra, cosi’ non potrà venire ad insozzare anche quel posto e comincio a godermi Fisterra ed i suoi abitanti, alcuni amici di vecchia data, e Dago mi fa scoprire cose nuove in questo paesino di pescatori, che da dieci anni frequento e che non conoscevo cosi’ nelle pieghe di vita locale.

Pare che io sia diventato il suo amico (?) confidente o forse perché sa che potrei aiutarlo nella sua scalata al potere locale.

Nella sua lucida follia dice di poter essere eletto sindaco, di poter convincere chiunque a prestargli soldi, investire, dice lui, nei suoi progetti fantasiosi… libri, negozi, atelier di pittura, sellos e noleggio bici, posto internet….e riesce a convincere gente semplice che lavora e vuole che io sia la sua facciata di rispettabilità (se sapesse…).

E vuole che resti li’, che non torni a casa perché insieme faremo grandi cose…

I giorni passano e lui non regge, le prime crepe affiorano…

Silvia ha deciso che lo vuole tenere tutto per sè, sta impazzendo di desiderio e sale su in casa dopo il servizio al bar…lei pensa che svuotandolo di energia, Dago non andrà a cercare altre…ed io sono testimone di liti furibonde e di altrettanto battagliate riappacificazioni…..

Lui gioca le sue ultime carte, ma io non voglio investire i pochi soldi in cose incerte e non controllabili e poi voglio aprire un albergue a st Jean pied de port con gli amici…

Cosi’ dopo una notte a valutare con lui pro e contro, a spiegargli infine che la cosa non si puo’ fare, gli dico che si cerchi altri soci e che, caso mai, con l’anno nuovo posso verificare l’andazzo e pensarci su.

Alle prime piogge autunnali violente saluto gli amici e decido di partire, lui non viene a salutarmi…Silvia mi abbraccia e mi dice di tornare presto.

fine della storia

Nel 2010 sono impegnato in Sardegna e quindi faccio solo una scappata a Finisterre per salutare gli amici prima di rientrare sull’isola.

Dago non c’é. Ora vive nella casa di Silvia che ha cacciato via i genitori, rimandato i figli dal marito alle Canarie, perso il lavoro da Roberto e contratto debiti con tutti e sta cercando di vendere la casa ancora gravata dal mutuo…

In poche parole sta facendo la fame e se la cava con qualche serata in un night della costa e la vedo messa male quando mi chiama dalla finestra e mi fa salire su con gli occhioni supplicanti…

Lei la scatenata che faceva show nel bar e teneva allegri tutti, me compreso. Silvia, che cosa ti ha fatto diventare? ti ha mangiato dentro, divorato, come le altre….pietà!

Dago é a Madrid a cercare soldi o droga da spacciare e tornerà presto, dice lei.

Io non lo vedro’. Anche lui in fondo si é fatto catturare ed é sceso in basso, dopo tutto quello che aveva fatto per risalire….

In un certo senso Silvia ha vinto, ma a che prezzo….Addio

 

NOELIA

Noelia mi attirava come una calamita. Con il suo pelo corto nero, il suo naso clitorideo, il suo sorriso smagliante, la sua pelle morbida…lei fà la levatrice, lei é impudente, rossa dentro ed a controcorrente, sempre.

Papà che la segue in cammino, peso o sicurezza?

Vita da ostetrica professionale, nomade per ospedali vari, cambiando spesso, senza uomini come punti fermi..o forse fuggendo i punti fermi.

Buona compagnia e di buona compagnia.

Viene a Cizur in visita e mi lancia stoccate contro quelli che pensa essere modi di dire e di fare stereotipati. E sorride, provocandomi, provocante…

Ci ritroviamo per caso sui gradini della Quintana a Santiago durante un concerto folk gratuito notturno, quando lei arriva con un gruppazzo di pellegrine che era passato per Cizur ed io sono li’ alla fine del Primitivo.

La riconosco subito, la ragazza impertinente. La sento molto vicina. La musica é forte, papà ed amiche nei pressi. Qualche confessione ed un po’ di ritegno.

Vorrei morderla e mangiarla.

Per vedere l’effetto che fà, la invito a venire a camminare in Italia l’anno che viene.

Lei deve cambiare città ed ospedale. Sempre in movimento, nel cambio, cose nuove… curiosità o fuga?

Pero’ da che? da chi?

MI sussurra abbracciandomi:”mi piaci molto, pero’ sei troppo vecchio per me…non resisterei molto con te; meglio restare amici…”

Se ne va nella notte, cosi’ come era venuta ed io resto li’ con la musica.

Come dicono i vecchi saggi hospitaleri :” le pellegrine passano, l’hospitalero rimane”.

Spero che ci rivedremo un giorno, me gusta mucho!

 

 

CORA, ovvero la gioventù dell’epoca disoccupata

Cora ha 30 anni ed ha fatto scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Figlia di un padre falegname diventato padrone e di una madre impiegata, con un fratello che cerca di “salvarsi la vita” tra alcol e droga come molti della sua generazione, lei si trova ad un incrocio della sua giovinezza già ben piena. Figlia e studentessa modello, si é trovata sotto i fuochi incrociati degli interessi in giochi politici e corporativi nel corso della sua inchiesta sociologica per la tesi sui precari della società francese. Il suo comportamento abbastanza “libero” e “naturale” che gli hanno appreso i suoi genitori, laici protestanti e naturisti per scelta, già in tenera età, le hanno conferito una capacità di ben gestire le situazioni e di prendere delle iniziative puntuali. Lei é aperta e “saggia”. Ci siamo incontrati ad Arrés nell’albergue dove lei stava già da tre giorni per una tendinite al ginocchio, grazie al fatto che Nuria, l’hospitalera novella, era alla sua prima volta e non osservava le “regole”, ma si affidava al suo istinto ed alla sua capacità di comprensione… e per questo sarà una eccellente hospitalera veterana!

Come al solito chiacchieravo con tutti invece di mangiare, avevo lasciato Carmen da sola nell’albergue di Santa Cilia, come un imbecille, e mi sentivo un po’ triste, quando lei si é seduta di fianco a me, curiosa comme una “beccaccia”. Scopriro’ poi che questo é il soprannome che si sono date lei e le sue due amiche. Mi racconta come e perché si é fermata li’ e mi chiede che cosa deve fare…ed allora dalle profondità della mia stanchezza cerebrale di un giorno caldissimo e lunghissimo di cammino, le butto li’ una frase del tipo: “se torni a casa adesso, resterai su di una sconfitta e questo non ti farà del bene.” E continuo dicendo:” se invece fai un’altra tappa, anche corta, mettendoci anche 20 ore, pero’ la fai…allora potrai tornare a casa sapendo che hai vinto dolore e sconfitta, avrai vinto e lasci il cammino su una vittoria e non una sconfitta e potrai tornare quando sarai in forma migliore con un buon equipaggiamento ed andare avanti”. (ndr: In effetti, spesso la tendinite non é altro che l’espressione di un malessere psichico e di una difficoltà a superare un ostacolo (il dolore) e di superarsi. I tre primi giorni di cammino sono i più temuti perché la voglia di partire, di cominciare, si confronta con il peso dello zaino, con le difficoltà del percorso, coi malesseri fisici…)

Lei mi chiede se domani il percorso é difficile (lei puo’ salire, ma scendere no) le spiego a grandi linee come si svolge il tracciato (che poi si rivelerà ancora una volta cambiato, in peggio, ma questo non potevo saperlo) …e la mia sorpresa sarà di trovarla il giorno dopo alla fine della tappa, giù in basso della salita al pueblo di Artieda ed al suo rifugio, che faremo insieme, piano piano.

Io ero partito come al solito tardi e per di più i saluti e le chiacchiere con Nuria ed altri due hospitaleri di passaggio mi avevano fatto cominciare alle 9,30 e uno sbaglio di percorso sull’asfalto mi aveva portato fuori pista verso il rio Aragon e l’embalse di Yesa, ma non pensavo che le mie parole le avrebbero dato la scintilla per fare quello che fino a ieri non avrebbe più voluto fare…Talvolta non mi rendo conto che le mie parole possono avere degli effetti “perversi”…..

Detto questo, lo scopo era raggiunto, Cora aveva sorpassato se stessa e nei giorni seguenti, malgrado i piedi pieni di bolle ed il ginocchio in disordine, lei avrebbe proseguito il cammino, anche aiutata da Carmen che ci aveva raggiunti con un bel tappone. Talvolta parliamo…comincio a capire che pure a Parigi i giovani della sua generazione si sono messi in adeguazione con la situazione della società attuale, con il suo corredo di disoccupazione, sottooccupazione, arte di arrangiarsi, precarietà, lavoretti, stages, interim. Ci vivono dentro ed arrivano anche a divertirsi, malgrado tutto, ci sono cresciuti dentro e con, non come noi vecchietti che la disoccupazione ci attanaglia e svalorizza.

Sono curioso di questa ragazza che assomiglia talvolta ad una gattina persa che ha bisogno di carezze, ma che nello stesso tempo é “autonoma” ed anche autosufficiente con scelte multiple. Cora capisce, ascolta e pone questioni intelligenti. Il suo fisico m’intriga, lei si incazza se le lancio picche o scherzo sul suo collo, spalle od altro. La sento molto dolce e femminile, positiva, anche se la sua vita deve essere ripensata ed il suo cammino puo’ servire a questo. Già lei continua a camminare e la sua decisione di rientrare in Francia  scompare poco a poco e si trasforma in una decisione di continuare a camminare malgrado le bolle ed il caldo ed il dolore al ginocchio. Carmen ci ha lasciati, deve andare più veloce, seguire la sua tabella di marcia, arrivare a Manjarin dal suo “Tomas” e da “Eric” per ritrovare le sensazioni  di due anni prima (purtroppo per lei non sarà più come prima, non ritroverà le stesse sensazioni, le stesse persone e se ne tornerà a casa….).

Cora non mi ha parlato dei suoi ragazzi, salvo del primo nel campo nudisti e del pazzo scatenato che la perseguitava; non conosco la sua situazione attuale salvo i suoi giri in Quebec ed in Germania e le sue difficoltà ad aprirsi con i genitori. Cerco di lasciarla fare e  a volte faccio lo scemo per stimolarla, come un vecchio amico, anche se la conosco solo da poco. Non é facile, ma lei me lo permette…Devo dire che un giorno particolarmente duro, arrivato all’albergue su in cima e vedendo che non erano ancora arrivate, ho riempito una borraccia d’acqua e sono risalito su in montagna per cercare lei e Carmen e fare con loro gli ultimi km…e questo merita!

Strada facendo siamo arrivati a Puente la reina (adesso sono io che ho male ai piedi, tappe troppo lunghe in ore e zaino troppo carico, anche se i km non sono poi molti al giorno) e domani mattina le nostre strade si dividono; io vado a Cizur per i 15 giorni da hospitalero, lei prosegue con i nuovi amici olandesi ed italiane o forse torna per le vacanze in Francia, non lo sa ancora…Non so se ci rivedremo, ma mi ha fatto bene stare con lei, senza problemi di corteggio…Ci si rispetta ed anche quando la massaggio, non faccio lo scemo.. Cora é sprint, capace di scalare le montagne, ma ha bisogno di un buon entourage e di trovare un supporto nella continuità, senno’ si stanca presto…

Adesso va come una freccia, salvo nelle discese dure; sbuffa e soffre, ma arriviamo. Sento che si trattiene talvolta per rapporto a me, ma mi ha ben inquadrato oppure gli ho permesso di “inquadrare” il personaggio e di lasciare intravvedere quello che c’è dietro le vite multiple e storie varie. Gli addii sono duri, ma fatti in fretta…dei buoni ricordi, una risata schietta e franca, una stretta di mano ed un grosso lungo abbraccio, baci baci, ciaoo

Ps: alle sette del mattino vedo le loro ombre andare via zaino in spalla…

Parte 2

Il piede sinistro si é gonfiato come un pallone, ma devo arrivare a Cizur e fare servizio.

Dopo 15 giorni riparto sempre con il piede in disordine (poi sapro’ che si tratta di una frattura da stress ed ora é più corto di un cm rispetto all’altro perché si é saldato l’osso ad arco) e vado come il vecchietto che sono, piano sotto il sole cocente di fine agosto verso Santiago e Finisterra.

Arrivo e devo fare sostituzione dell’hospitalero all’albergue de paz, ma c’é il computer e la donna delle pulizia, quindi poco sforzo…

Arriva una mail da Cora che se n’é andata in Inghilterra con un pellegrino conosciuto in cammino, ma che l’ha mollato perché troppo mammista…(interrompere una scopata nel bel mezzo per andare a prendere il té con Mom perché il campanello del té é suonato…!!!!) e che ha ripreso il cammino e che arriverà fino a Finisterra se sono ancora li’.

Certo che sono ancora li’! la compagnia é bella, il bar pieno di amici e poi devo riposare il piede…o no???

Sto vivendo in un tre più servizi a 150 euro al mese con vista mare e non piove (strano qui a Fisterra), mangio ed ingrasso e cerco di bere poco o’rujo licor de hierbas…

Non so più da quanti anni vengo qui, ormai sono uno del posto anche da quando ho pulito un po’ di chapapote del Prestige.

Lei arriva e si alloggia in albergue. Le avevo preparato una stanza, ma la presenza di Dago infastidisce…lui salta a cavallo di ogni cosa che si muove ahahaha

Quindi come in cammino, si vive insieme, ma si dorme separati…

lei va al cerimoniale del braciere al tramonto coi suoi amici pellegrini; é una cosa sua, la deve fare da sola…poi si beve e si canta e si fanno le ore piccole, io crollo di stanchezza, lei gioca a calcetto…il giorno dopo in spiaggia al mar de fora giocando con le onde e facendo foto…poi alla Langosteira a raccogliere conchas come nei tempi antichi…una cena a base di pesce per celebrare il nostro reincontro e tante chiacchiere o discorsi…

Ma io mi sento distante.

Sarà che il lungo cammino da Roma é stato davvero lungo e solitario e faticoso e che ora devo tornare a casa e riadattarmi e sto lentamente metabolizzando questa esperienza, molto lentamente…restero’ un mese a Fisterra !!

Sarà anche che lei é giovane e non voglio rovinare quello che c’é stato con una cosa maldestra e via andare…quanti scrupoli mi faccio! pero’ é cosi’

Ed allora la tengo distante e mi regolo di conseguenza…Lei che non é scema, capisce e mi dice che torna a casa per il lavoro, ci salutiamo e veloce il pullmann per Santiago la porta via.

PS: nell’inverno lei verrà a lavorare sulle Alpi, ma prima che potessi andare a trovarla, ha litigato col padrone ed ha mollato tutto

PS2: dopo mesi di silenzio, il telefono squilla:” dove vai in cammino quest’anno? sul norte? forse vengo anch’io. Quando pensi di partire?” e via andare……fino al rendez vous a Baiona dopo le feste di agosto. “Ciao, ciao, come stai? cos’hai fatto di bello? dove andiamo?” come se niente fosse successo…..

Partiamo per andare a dormire ad Irun in albergue, che é sempre troppo pieno e non si sa bene perché, visto che il giorno dopo a camminare siamo sempre i soliti…..Lei parte prima, ma non la trovo alla fine tappa. Boh?? La trovero’ il giorno dopo scaricata da tre spagnoli in un albergue di mezza tappa perché il ginocchio e la tendinite la fanno zoppicare….Pioveva a dirotto quel giorno..peccato averla ritrovata, era meglio se scompariva per davvero…e la lascio li’ con la sua tendinite e la sua voglia di rifare lo stesso gioco..un’amica, dice, verrà a riprenderla…

Peccato, era la prima e l’ultima volta, che accettavo di cominciare un cammino con qualcuno…..Nell’inverno arriveranno le scuse e le spiegazioni….

Cammina, cammina,  che da qualche parte arriverai…………

**Irene violinista ballerina.

Vent’anni, ricciolini ad incorniciare il volto da ragazzina candida e sbarazzina, aveva fatto i suoi cammini con il padre che da separato non aveva trovato di meglio, quando aveva la custodia della figlia, che portarla sul cammino…Una veterana quindi, valenciana per giunta, terra di pellegrini…camminava con un italiano di Brescia molto innamorato di lei e, complice il fatto che c’era un’altra coppia mista italo-spagnola (lui milanese, lei di Lorca), e che l’albergue era piccolino ed intimo, la sera a cena ognuno aveva raccontato la storia…. e la loro era davvero straordinaria!

Tommaso era venuto in Spagna a Santander con Erasmus e stava quasi finendo l’anno, quando con gli amici era andato ad un festival di musica celtica dove, guarda caso, Irene suonava il violino in un gruppo folk. Tommaso dice che non riusciva a staccare gli occhi da lei per tutto lo spettacolo, da quel fascio di energia e ritmo che scaturiva da quel corpicino fragile ed appassionato e dalla musica piroettante che produceva…era musica ed emozioni allo stato puro!

Lei lo guardava ancora oggi un po’ stranita mentre lui lo raccontava…

Il bello é che finito il concerto pubblico, Irene aveva continuato a suonare ritmi indiavolati in piedi su un tavolo di cemento durante la notte e lui racconta che era stato un vero colpo di fulmine, se ne era rimasto li’ incantato ad ascoltarla, ma non si erano neanche parlati e la notte era finita cosi’, ciascuno per la sua strada, lui a Santander e lei a Valencia…..

Lei aggiunge che non lo aveva neanche notato, presa com’era dalla sua performance…

Tornato a casa, Tommaso non riusciva a togliersi dalla testa Irene.

Pero’ non sapeva niente di lei. Allora cerca che ti trovo, aveva mosso mari e monti per sapere il nome del gruppo, da dove veniva, chi era la violinista, dove abitasse etc etc

Armato solo del nome del gruppo e della città, era partito per Valencia ed aveva girato tutte le università chiedendo chi conoscesse questo gruppo folk, finché gli avevano dato un cognome ed aveva cominciato allora a telefonare a tutte le famiglie con lo stesso cognome cercando la violinista Irene…

Qualcuno gli disse che viveva nella tal via con la madre e ci ando’, busso’ e venne ad aprire la madre…

Tommaso gli racconta la sua storia cosi’ di brutto sul pianerottolo..la madre lo fa entrare e gli dice che Irene é via in tournée per un po’ di tempo! crolla il mondo, che fare? aveva mollato tutto ed ora, lei non c’era..

La madre, che era una sentimentale di quelle giuste e pratiche, gli dice allora che puo’ restare li’ da loro in attesa che la figlia ritorni.

E li’ prende la parola Irene che racconta come al suo ritorno si sia trovata in casa questo tizio sconosciuto che viveva con loro aspettando lei :” ma che cazzo vuole questo qui da me? sono giovane e libera, un italiano poi !!?”

Ormai la frittata era fatta, buon viso a buon gioco…Lui aveva trovato lavoro come pizzaiolo e la madre era contenta di lui, non disturbava nessuno….anche se era ormai installato li’, in mezzo ai piedi !!!

Il risultato é che erano qui insieme sul cammino. Come faceva il padre con lei, cosi’ lei aveva fatto con lui: l’aveva portato a camminare quindici giorni sul Primitivo, il più duro, per vedere come andava…..roba da pazzi! ed era solo il secondo giorno!!!!

Io sghignazzavo perché conoscevo il trucco applicato da molte spagnole, ma nello stesso tempo ero ammirativo della costanza e fermezza di questo testone bresciano che alla fine c’era riuscito, non era mica da tutti fare quello che lui aveva fatto…..e si vedeva bene che stavano filando d’amore e d’accordo..

Per quanto tempo, non lo sapro’ mai…..due giorni dopo lei si era dovuta fermare a causa di una tendinite acuta e non li ho più rivisti. Questa notizia me la diede l’altra coppia intravista passando ad Arzua…spero che tutto sia filato via liscio, lo meritano!

 

Vero e Mauricio

 

La bolognese bionda soffice lentigginosa carina era passata da Cizur con il gruppone misto che é stato qui ieri e che ha passato la notte in bianco a causa di una gastroenterite dovuta ai dolci ed alle uova rimasti per ore al sole caliente della meseta nelle vetrine della bottegaia esosa di questo piccolo pueblo del cammino. Gli amici mi raccontano delle avventure della bolognese rimasta indietro ed io le tengo un posto per la notte. Non arriverà.

Ad Arroyo san Bol incontrarono Mauricio il musico e fu festa grande nella freak oasis. A Puente Fitero Mauricio arrivo’ a notte fonda e si mise a dormire dove capitava.

Al mattino tutti partirono presto e Vero tese la mano fino ad incontrare quella di Mauricio come se stesse ancora dormendo….

Si persero insieme cantando, ballando, ridendo, suonando, facendo massaggi e raccogliendo sacchi d’immondizia lasciata dagli altri pellegrini.

Vero era chiara, limpida come la pozza d’acqua dei suoi occhi, il suo cuore puro e la sua voglia di vivere e di conoscere enorme.

Mi piaceva come mi piacque subito Mau che apparve sulla porta dicendomi:”sei flavio? ti ho portato fino a qui un’amica italiana”

Entrata da avanspettacolo, abbracci e baci.

Lui era un brasiliano di 36 anni, emigrato in Portugal come molti, che era riuscito a salire in alto (pagava ancora le rate di una Ferrari che mai aveva guidato) facendo compromessi estetici (capelli, abbigliamento) e linguistici (abbandono della parlata musicale brasileña per il portoghese più chiuso) per la carriera d’architetto con studio di moda e fatturato enorme, e che era caduto, succede…. in fallimento, con l’aggiunta di un matrimonio fallito in 5 anni e di un figlio di 3 anni a carico, cose che capitano.

Parliamo di tutto e di niente, ridono tutti e due, felici di vivere. Lei mi abbraccia, dicendomi che sono qui per vedere me, offro due birre dal frigo, lui suona il flauto ed offre pomodori secchi. Parliamo. Ridono, sorridono, raccontano. Gente di buon cammino. Senza stress, senza buchi nei piedi per le bolle, senza limiti spaziotemporali ed …innamorati.

Mi veniva in mente la mia compagna, il mio amore di cammino, che stava quasi ad Astorga.

E lui mi dice:vieni!”. Perché? e stende un panno nell’aiuola. E Vero mi dice: “ti fà un massaggio, lo fà a tutti quelli che gli piacciono come persone, é il suo modo di ringraziare per l’amicizia offerta”.

Mi stendo un poco impaurito, é grande con due manone enormi, mi afferra e comincia ad impormi forza, torsioni, posizioni, dolori e stiramenti. Sono duro, torto e resisto. Vero viene a vedere la scena da vicino, lui non l’ha ancora massaggiata cosi’, ha paura di romperla.

Le sue dita mi fanno male. La lotta é dura, poi mi lascio andare e finirà bene….

Ci sediamo sui gradini a ciarlare, scambio di mail, abbracci, nuovi amici per sempre. Gli chiedo di raccontarmi la sua storia. Non abbiamo molto tempo. Pellegrini che arrivano. I suoi sogni, le sue certezze. Il cammino come spâzio di libertà, di incontri, di scambi.

Ha già massaggiato 70 persone e raccolto quintali di immondizia che i comuni non vogliono raccogliere, anche se già insaccati. Legge il dolore o l’amicizia negli occhi della gente ed offre quello che puo’. Da ciclista si é fatto camminante per avere il tempo della riflessione. Ci troveremo ancora. Cose da hospitaleri camminanti. Cose della vita. Incontri che ti marcano.

 

Laura ed i due bastoni.

Laura corre, fà teatro e televisione, pubblicità, studia e lavora. Si gode e vive la vita a pieni polmoni. Con il suo compagno ha deciso di venire a fare il cammino, una specie di mese di prova, 24 ore su 24, sempre insieme.

Una storia di coppia felice che si prepara minuziosamente il suo viaggio vacanza cosi’ diverso dal solito esotismo di moda.

Il giorno in cui il postino le recapita le due credenziali, il fidanzato ha un incidente in moto e lei resta sola.

Mancava un mese alla partenza….

Lei decide di venire lo stesso a fare questo cammino che volevano fare insieme, una specie di lutto in cammino, porterà i due bastoni uniti per affidarli all’oceano della fine del mondo nella costa da morte a Finisterra, un addio definitivo (???) a una parte di se stessa, che seguirà le correnti vagabonde in un altro mondo.

La conobbi a Mellide, aspettava che l’unica doccia chiusa da una porta si liberasse, seduta su una panca di legno.

Un passerotto triste con le ali un poco spiumate e dolori da cammino troppo duro e veloce ovunque, come se la fretta di arrivare l’avesse contagiata o il gruppo di amici la tirasse troppo rapida verso la fine del mondo.

Non aveva mai mangiato pulpo e la portai con noi a cena, gruppo etrogeneo, ma solidale.

Si aggrego’ con facilità, alcuni si innamorarono di lei e della sua storia, miss Panthene non passava inosservata, soprattutto quando scioglieva i suoi lunghi capelli come nella pubblicità.

Un lenzuolo steso su un albero ad altezza rimarchevole con gli auguri di buon cammino ci svelo’ che anche altri camminanti e ciclisti le attestavano amicizia e solidarietà.

Era facile al contatto, anche se si vedeva che il suo fine era un altro e che la sua motivazione come i suoi pensieri erano rivolti al capo finisterre, alla fine del mondo.

Al faro, volendo scendere giù all’oceano, cosa un poco perigliosa, due rocciatori italiani presenti la aiutarono a scendere e fece quello per cui era venuta. Ora potrà tornare a casa e rivivere…i bastoni flottano nel grande oceano.

**Paco e Feli

A volte i contrattempi favoriscono belle storie e nuovi incontri. Dovevo andare a Oviedo per fare accoglienza per gli ultimi 15 giorni di agosto e quindi lascio Cizur Menor a chi di dovere ed in due tappe arrivo all’albergue in centro città sempre pieno come un uovo. Il presidente non c’é e nessuno ne sa niente…

C’é un tipo che arriva alle 5 del pomeriggio e mi dice che il presidente é morto d’infarto facendo una tappa del cammino, che nessuno sa più cosa fare, persino il computer é inutilizzabile perché la password ce l’aveva lui e solo lui, un poco accentratore…e che lo hanno messo li’ per aprire l’albergue ai pellegrini con una volontaria che in teoria dovrebbe pulire ogni giorno l’albergue (sotto la mia branda c’é un giornale di tre mesi prima…), ma nessuno fa niente, né sa niente…!

In effetti l’albergue é sporco, ristretto, tutti ammucchiati come in una scatola di sardine e chiusi dentro a chiave che non si puo’ uscire a cena…

Bof ! mi ritrovo con 15 giorni liberi prima di dover tornare a Saint Palais alla Maison Franciscaine…..tanto vale andarmi a fare il cammino primitivo che da li’ va a Mellide.

Uscire da Oviedo é abbastanza difficile, ma via via, inerpicandomi sui sentieri ed incontrando gente che ha dormito sotto portici di chiese perché l’ostello era pieno, inizio ad entrare nel quotidiano del cammino.

Arrivo a mezzogiorno ad un bar poco prima dell’albergue isolato dove vorrei dormire e ci trovo una ragazza che sta bevendo una birra e che attacca discorso. Viene dalla Cataluña ed ha subito un’operazione al cervello per un tumore e si sta distraendo un po’ facendo delle tappe qui e là…

Lei resta li’ per pranzare, io voglio andare all’albergue per avere un letto, visto il pienone che c’era a Oviedo (NB: la rivedro’ a Lugo e nell’inverno Gronze mi dirà che é passata a camminare nelle grandi praterie in pace).

In albergue ci sono già due estoni sportive che parlano un poco inglese e che vorrebbero scrivere una guida del cammino primitivo. Lle ritrovo al bar e ceniamo insieme.

Poi arrivano due giovanissime polacche che hanno fatto Erasmus e due coppie d italo-spagnole.

A proposito: “vi siete mai chiesti perché i matrimoni fra un italiano ed una spagnola sono molto frequenti e durano, ed invece tra una italiana ed uno spagnolo solo avventure e baruffe chiozzotte??? ” Noi hospitaleri avevamo provato a fare delle indagini e ne risultava che le donne italiane cercavano nel macho spagnolo il macho che l’uomo italiano non era più, e che le donne spagnole cercavano nell’uomo italiano uno spagnolo educato e meno possessivo, meno machista…

Il giorno dopo iniziano le belle salitacce, le interruzioni del cammino per i lavori autostradali, la ricerca di bar dove fare colazione e pranzo… raggiungo le estoni e cammino con loro…giornata tranquilla.

Nell’albergue fuori Salas c’é un pienone che per andare in branda devi scavalcare mille corpi che persino in cucina non ci si puo’ girare, ma c’é gente in gamba e pronta allo scherzo ed allora organizziamo un trenino di massaggi fuori nel prato, alternando uomo e donna… le gambe e le spalle fanno già male dopo due giorni duri ed il bello deve ancora venire…

Nel gruppone ci sono quelli di ieri più altra gente che ha fatto il tappone da Oviedo.

Noto una morettina col corpo da cerbiatta tutta riccioli accompagnata da un uomo serio, che si guardano in giro come incuriositi da tutto questo andazzo babelico.

Visto che dovevo fare servizio come hospitalero, cerco di organizzare una cena comunitaria con quello che c’é, facendo spostare quelli che si sono installati in cucina e preparando una matriciana che di fatto non lo é, ma va bene lo stesso!

Si riparte un poco stravolti dopo una notte insonne e strada facendo si incomincia a conoscersi: le due estoni, le due polacche, le due coppie miste, la morettina ed il suo accompagnatore, i cinque giovani catalani che partivano alle 4 per avere sempre posto negli albergues, altri catalani, una coppia francomurciana con una amica dolorante al seguito, una valenciana svelta come un capriolo che sfida i grandi marciatori professionali, il madrileno lungo che ha terribili dolori ai piedi, zio e nipote lisboeti con amica psicologa al seguito… gli altri accelerano, questi finiranno per fare gruppo con me e le stesse tappe.

Quando arrivo agli albergues, i 5 catalani giovani sono già pronti per andare a pranzo a delle ore che per me sono impossibili e poi non cenano… gli altri più adulti invece seguono un ritmo più consono al mio e quindi si cena insieme… talvolta si cena in 20, fortuna che qui nelle Asturias si mangia davvero bene!!

Senno’ si organizza la cena in albergue se c’é la cucina come a Padron…O rujo di hierbas cola a fiumi e si dorme bene e le lingue si sciolgono…anche i prodi marciatori professionali si uniscono a noi ed un ultimo catalano loco si aggiunge al gruppo ed il calore umano si respira a pieni polmoni.

Cerchiamo di alleviare le sofferenze varie, ma non si riesce ad impedire i vari abbandoni di gente che non ce la fa più: il primitivo é davvero duro!

Scendendo dal monte Furado mi sento in forma come non mai e supero tutti di slancio sorprendendo gente più avanti di me…il problema é che oltre ad essere noi già parecchi, gli albergues sono piccoli e c’é un gruppo di turigrinos con auto al seguito che ci frega tutti i giorni i posti…allora faccio lo sprint, le tappe sono obbligate!

Arrivo alla fine della discesa e raggiungo la morettina ed il suo amico e scambiamo qualche parola andando…

Lei va come una scheggia nei suoi pantaloncini corti, lui la segue ed io dietro…pare una corsa a chi arriva primo e lei vuole stare davanti…

Ci fermiamo un attimo a bere al primo bar, quand’ecco la muta dei turigrinos senza zaino che arriva ed allora, di comune accordo, Paco, Feli ed io indossiamo gli zaini e ci mettiamo a correre nei boschi per arrivare a Berducedo che quasi passiamo l’albergue senza accorgercene…

Dieci brande già prese, io mi metto per terra in mezzo…gli altri andranno 6km più avanti, sempre a dormire per terra, tutto é pieno, dovunque!

Gli spagnoli misti mi hanno adottato e ceniamo da una vecchia tutti quanti. La coppia francospagnola si é appena sposata e faranno il loro primogenito proprio in questi giorni, l’amica zoppicante se ne tornerà a casa, troppo carica di peso e di problemi, le estoni trottano che é una meraviglia, le polacche sono molto timide anche se parlano spagnolo e le due catalane coi loro tre amici sono bella gente.

Bene o male arriviamo fino a Lugo dove c’é un pienone impossibile e ritroviamo i professionisti che paiono indecisi se immettersi nella fiumana del francès o tornare a casa.

Una cena tutti insieme in centro e la decisione di andare alcuni al primo albergue nel bosco, altri al ponte romano in agriturismo (noi più anziani).

Li’ Paco e Feli ci raccontano come stanno le cose dopo una cena abbondante e ben innaffiata…Feli é separata da un marito violento che la menava perché geloso e possessivo ed aveva deciso di troncare con gli uomini, lei cosi’ carina e sorridente…finché un’amica l’aveva convinta a fare un corso di yoga dove, guarda caso, c’era Paco in licenza militare che si stava ricaricando le batterie dal Kossovo.

Poco a poco, senza forzare, qualcosa era nato, ma sempre gravava il ricordo della storia precedente e Feli non voleva ricascarci….anche se Paco era davvero un uomo tranquillo e calmo. Allora un giorno lui le dice che possono fare una prova. Andranno insieme su un cammino duro e difficile per 15 giorni sempre insieme e poi si vedrà….Feli accetta la sfida.

Quindici giorni sempre insieme tra dolori e fatiche, tra la gente, senza intimità, obbligati a condividere tutto, mettono alla prova anche le coppie più stabili…

Questa era la loro storia ed un mattino, partito come spesso per ultimo, su un sentiero di cammpagna sterrato, trovai inciso col bastone un enorme ” Paco te quiero!” che era la definitiva accettazione di Feli per una nuova vita di coppia…

A Mellide dopo un bel pulpo, seduti ad un bar del centro per un gelatino ed una birra di gruppo ormai compatto, mi restava un’ultima domanda da porre a Feli : “perché correva sempre cosi’ veloce sul cammino senza fermarsi mai e tutti ad inseguirla?”

E la risposta, tipicamente femminile, “perché ho paura dei ragnetti e se corro non mi si attaccano!!!” e tutti a ridere alla grossa perché pensavamo facesse parte della prova cui stava sottoponendo Paco…che ci guardava con occhi pacati e soddisfatti.

Grandi amicizie che ancora oggi proseguono e tanti bei ricordi.

 

***Camino4 : incontro di un chulo e di una chula

Lei lo vide e penso’:” guarda il guapo! avrà circa 45 anni. Deve essere molto ricercato dalle donne. Vale la pena di approfondire!”

Lui la vide e penso’:”guarda la guapa! avrà 35 anni. Tutti gli uomini la guardano, la desiderano, si innamorano…come questo giovincello che la accompagna come un cagnolino. Vediamo un po’….”

Perché una donna sposata e felice (come dice lei) rischia la sua vita e la sua reputazione, accendendo, stuzzicando e provocando uomini come lei fà? (dicono gli invidiosi ed invidiose).

Lui pensava che questa “signora” doveva essere una donna libera ed indipendente, con cervello e volontà sue, capace di sorprendere tutti quanti con la sua forza.

Lei pensava che lui fosse un uomo maturo che nascondeva cose della sua vita passata, una fortezza, un’armatura che come sfida voleva conquistare.

In questo i due si trovavano uniti: il meglio é la seduzione, la conquista della fortezza, non il dopo, il possesso che implica la routine difficile da gestire.

Lui non si era mai sposato. Lei si’, una volta, la unica ves.

Cominciano un gioco che solo loro capiscono. Per gli altri lei é solo una scaldapalle, una a cui piace attizzare gli uomini, e lui un chulo. Sempre gli stessi preconcetti maschilisti.

Parlano di tutto e di niente, si stuzzicano un pochino, si titillano, si sfiorano, si toccano, si guardano, parlano di tutto. O meglio, lei parla e lui ascolta.

La miglior cosa: saper ascoltare e capire tutta una vita.

A lui piaceva parlare, racontare storie, stare al centro dell’attenzione divertendo la gente.

A lei interessava aprire il suo cuore, condividere con altri, esistere, verificare il suo modo di essere e la sua capacità di attrazione.

Lui ascolto’ e profitto’.

Quale fondo di esperienze aveva costruito questi due personaggi? chi lo sa!

Quali esperienze vissute e sofferte avevano avuto prima?

Angoli spigolosi e rotondità si affrontano, carezzandosi.

Una fiammella comincia ad accendersi sul fondo e resta in vita….

Lui aspetto’ seduto sotto la scala che lei venga a chiacchierare al chiaro della notte stellata.

Pero’ niente!

Lei se ne andrà, pero’ tornerà dieci giorni dopo.

Lei aveva una agenda piena di impegni, alla fine decise di riservare tre giorni per lui. Ritorno’ ed attacco’ diretto.

Lui non oppose resistenza, pero’ aveva un poco di paura.

Che succederà?

Passo dopo passo, tocco dopo tocco, mano a mano, bacio dopo bacio, carezza dopo carezza, notte e giorno, in mezzo a tutti quanti, la cosa si manifesta evidente: hanno un legame che si rafforza, che durerà nel tempo.

Lei non sa nulla di lui, lui sa quasi tutto.

Nuda, morena, senza peli, lei gli insegna dove toccare e baciare, lui obbedisce ed introduce le sue varianti.

Lui ha ancora paura.

Lei beve e mangia (come per ingrassare) spesso. Lui la guarda come amoroso. Sono come due fidanzatini di 16 anni, passione e sensibilità.

Lei non dimentica di fare la circe in pubblico, é la sua maniera di vivere e di essere.

A lui piacciono gli sguardi degli uomini ed anche delle donne che lo desiderano: perché lei e io no? perché lui ed io no? Tutto un gioco di apparenza.

La realtà é come sempre la risultante, una risultante di differenti opposizioni di forze contrastanti che alla fine aprono una soluzione imprevista.

Sto con te tre giorni e poi ritorno in cammino.

Di tocco in tocco, più profondo il rapporto fisico e la amicizia amorosa, fino al giorno della partenza, con molto dolore e pena, qualche lacrima e molti desideri insoddisfatti.

Non abbiamo concluso niente, tutto cominciava ad essere bene e lei lo taglia in questa maniera! Perché non si ferma qui più tempo?

Non chiede molto lui, una settimana di più e poi lei puo’ farsi gli ultimi 100km e prendersi la maledetta compostela per testimonio…

“Perché non si ferma di più” dicono gli uomini del pueblo? “hombre! non permettere che se ne vada!”

“Non posso, devo andarmene!”

Punto finale.

Talvolta, aprire il proprio cuore a tutti é pericoloso.

Ti penso sempre, pero’ so che ogni giorno tu stai ritornando alla tua vita. La fine del tuo cammino fu per te la soluzione per lasciare incompiuta la nostra “storia”: devo tornare, devo andare!

Ti ringrazio di aver soluzionato la cosa, pero’ adesso sento la tua mancanza.

Una vocina dentro di lui gli sussurrava e talvolta gli gridava:” scemo! ti sei già ridotto come gli altri! circe ti ha fatto maialino..” Ma che bello che é stato! ahahaha

2 parte

L’autunno e l’inverno sono passati, internet e qualche telefonata, gli auguri di compleanno e la promessa di vedersi, fino a quel giorno in cui arriva l’invito a venire a vederla, promessa di orizzonti aperti e… di nuovo insieme…

Il volo arriva di mattina presto, lei sarà là ad aspettarlo.

Lui si prepara per bene, é come un atleta alla vigilia della competizione, ma anche sicuro dei suoi mezzi, al culmine della sua forza.

La scaletta si avvicina, si scende!

Dall’alto della scalinata dell’aeroporto lui la cerca con gli occhi e con il cuore…

Lei non c’é!

boh? scendo a prendermi un caffé per svegliarmi, arriverà.

E c’é un tizio col braccio alzato e nella mano una foto.

Ma sono io !?! “Hola! soy yo en la foto!”

” Hola, soy el marido, lei non puo’ venire, non sta bene”

Boumm, mi cascano le palle, tutte le energie si svuotano dal mio corpo diventato improvvisamente debole.

Lui mi invita a seguirlo alla macchina, dobbiamo fare trecento km insieme.

E mi racconta di come sua moglie gli abbia raccontato di me, presentandomi come il fraticello francescano che l’ha aiutata nei momenti di crisi lungo il cammino, di come ora tutto vada meglio tra di loro (hanno comprato una casa nuova e lui spera che lei gli faccia un figlio), di come anche i suoi genitori l’abbiano trovata migliorata…

Ed io ascolto in silenzio quest’uomo, anche simpatico, spegnere uno dopo l’altro tutti i miei sogni, tutte le mie speranze.

Arriviamo alla loro casa, lei é seduta in salotto; un salotto molto freddo e geometrico, distante, quasi indifferente, con una grande televisione ed un computer che troneggiano. Facciamo colazione tra pochi convenevoli ed il marito dice che deve andare al lavoro…

si vede che la ama.

Le chiedo perché tutto questo, perché?

Lei dice che ci ama tutti  e due, lui l’amore maritale, il padre dei suoi futuri figli, l’uomo che la mantiene, che la sopporta quando fa le bizze…io, l’amore ipotetico, lontano, dei sogni incompiuti, delle fughe di cui ha bisogno per continuare a vivere la routine matrimoniale coi suoi impegni e costrizioni.

Sono stato l’elemento che le ha permesso di decidere di adeguarsi a questa vita, prendendosi ogni tanto degli spazi di evasione, ma senza più ricorrere a me che valgo troppo per lei e che, quindi, non devo soffrire…

Mi alzo, raccatto lo zaino, sbatto la porta e me ne vado.

3 parte

Per tre giorni mi sono richiuso in un piccolo hotel a piangere e poi sono tornato a casa, lei mi ha chiamato e mandato messaggi, io ho chiuso internet e telefono. Ho bisogno di rimettermi dal colpo, la ferita é troppo grande.

Come fanno le donne? tagliano netto e non si guardano indietro! almeno cosi’ ci raccontano…allora seguo anch’io questa via e cerco di dimenticare quello che poteva essere un grande amore. Forse lo é stato nel tempo che ha durato. Peccato che io volessi di più… e non é stato possibile. Davvero peccato! aveva ragione Ulisse coi suoi marinai diventati maialini….dietro lo schermo della maliarda c’era una vita normale che più normale non si puo’ ed io ero un poco di pepe….l’hospitalero sempre disponibile per le ferite degli altri.

Ma chi me le cura le mie?

 

LA COPPIA (scoppiata) CANARIA

Arriva un gruppo misto di signore con al centro un tipo scuro di pelle ed un gran sorriso da seduttore.

Ce ne sono parecchi che vengono sui cammini per le scappatelle, uomini e donne, senza distinzione, od anche solo per cambiare aria dalla vita di coppia di tutti i giorni.

L’occasione fà l’uomo-donna ladro, dicono…

Prendono possesso dei letti, tutti vicini, e lui si mette a cucinare.

Le prende per la gola?

30-40-50 anni, donne sole od in coppia o in trio che vengono sul cammino per alleviare la propria solitudine, combatterla, trovare un compagno d’occasione o stabile…..vale per gli uomini e per le donne e vale anche per gli intermedi, i diversi, come li chiamano.

Mille storie personali e talvolta generalizzabili, mille vite che si incrociano, delle coppie che si formano, altre che si sfasciano.

Ogni giorno se ne vedono delle belle.

Il fiume di umane genti scorre, a volta lento, placido, tranquillo, quasi ozioso; altre volte tumultuoso, umorale, violento, da piena che tutto travolge e tracima fuori.

Anche quel pomeriggio era da piena tumultuosa agostana, con il sole che picchiava forte..

Dopo il pranzo il gruppo faceva la siesta, io spostavo materassi in chiesa e mandavo ciclisti da Maribel.

Quand’ecco arrivare sulla salitella una signora biondotinta accaldata trafelata che mi dice di cercare suo marito che sta sul cammino, li da me.

Cerco il nome sul registro.

“Ecco, é lui! Mi racconta di andare in cammino per fede” mi dice lei tra i singhiozzi” ed invece corre dietro ad ogni gonnella, lasciandomi a casa con tre figli!”

Un’amica l’aveva avvertita della cosa ed allora aveva preso l’aereo ed era venuta a vedere coi suoi occhi, correndogli dietro ormai da tre giorni.

“Ma perché non lo molli, se ti cornifica sempre?” dico io con la mia logica da senza famiglia.

“Perché lo amo” dice lei” anche se mi accusa di essere paranoica, gelosa, egoista”.

Inizia a girare per le stanze, in chiesa, nel prato dietro la torre, nei bar, nell’altro albergue….Niente! é scomparso!

Piange, urla, me li sveglia tutti. Qualcuna la consola…io non so che fare.

Si mette a correre da tutte le parti.

Una tizia (che dovrebbe farsi i fatti suoi) le dice di andare a vedere dietro, dove c’é il lavandino per i panni e …patatrac, il tizio é là in buona compagnia….che stende i panni uhmm..apriti cielo…urla, sberle, corse e rincorse…oggi le comiche

Intervengo in una pausa per dirgli di andare a farsi le cose di famiglia da un’altra parte.

Lui capisce e se ne va al bar. Lei ha bisogno di piangere di farsi ascoltare. L’altra scompare. Io vado alla conferenza in chiesa, con le orecchie tese, pronto ad intervenire se la cosa si fà davvero grave.

Dopo un po’ lei va al bar a cercarlo…e se ne tornano abbracciati…lei si mette in ghingheri, vanno a cena…lei é superultrafelice, lui un po’ meno…

Tutto a posto? Si’, dice lui.

Lei é raggiante, tornerà sull’isola dai figli, domani.

Lui lo rivedro’ una settimana dopo a Villasirga con un’altra delle sue conquiste…

Storie ordinarie di umanità in cammino. Storie da hospitalero.

LA COPPIA FRANCESE

Stavamo camminando in Navarra, avevo finito il servizio a Cizur e mi ero ingruppato con delle tedesche ed un francese in crisi sentimentale che una di loro cercava di consolare.

Una di quelle tappe di pianura e collina con qualche arbusto, dei vasti campi di grano e qualche boschetto frammisto a dei canneti sui pochi corsi d’acqua e canaletti d’irrigazione.

Ci eravamo appunto sdraiati un po’ a riposarci dalla calura terribile dell’estate 2003, quella dei diecimila morti di caldo in Francia, a berci la poca acqua rimasta ed il paese era ancora a sei km…

Quand’ecco passare un uomo che teneva tra le mani una corda di quelle da alpinista a cui dava degli strattoni di quando in quando…e dieci metri più indietro …una donna con la corda legata alla vita…che si faceva o si lasciava trascinare…

L’uomo non ci aveva degnato di uno sguardo. La donna ci guardo’ con occhi supplicanti…

Non ci voleva molto perché le tedesche si guardassero negli occhi, decidessero in un istante e mi implicassero in una rincorsa…solo perché io parlavo molte lingue, credo.

Infatti a me non va di intromettermi negli affari altrui, se non ci sono chiamato, e quindi, di solito, faccio finta di niente.

Sono ben altri i problemi societali di cui bisogna occuparsi e per cui spendere le poche energie disponibili, in questi tempi di egoismo individualista.

Ma li’ ero nel gruppo e bisognava agire di concerto.

Ci avviciniamo alla signora reticente e scopriamo che é francese. Mi tocca fare da interprete col mio tedesco-inglese scadente…

Lei ci racconta che suo marito, quello che tiene l’estremità della corda, é un patito di cammini e che ci viene ogni anno e che lei approfitta del tempo libero per vivere con sua figlia ed i suoi nipotini, fare la nonna a tempo pieno, insomma, e che le piace molto.

Lui invece, anno dopo anno, le chiede di venire a fare un cammino con lui e lei fa di tutto per non venire…

Allora, quest’anno lui l’ha minacciata di andarsene per sempre, se lei almeno una volta non ci veniva.

Ma già dal primo giorno a saint Jean pied de port, nella terribile salita fino ad Orisson e poi nella discesa a Roncisvalle, si era resa conto che non era cosa per lei…non c’era niente che le piacesse, né camminare con lo zaino in spalla, né dormire tutti quanti insieme, né russare e restare svegli per la stanchezza, né le alzatacce ed i pasti sempre uguali del menù del peregrino, né i soliti discorsi di chilometri, di tappe, di vesciche, di albergues….sempre la stessa cosa tutti i giorni!!!

L’unica cosa che la consolava erano le telefonate a casa ai nipotini ed alla figlia, la sera, prima di cena e della malinconia che invariabilmente la prendeva al tramonto.

Il marito, invece, era nel suo elemento, perfettamente a suo agio, nei soliti discorsi di pellegrini veterani e di cammini fatti e da farsi..

Finché, a Pamplona, lei si era ribellata. Era l’ultima città da dove poteva tornare in Francia senza troppi problemi, non parlando la lingua…Voleva tornare a casa! costi quel costi!

Lui l’aveva convinta che da Logroño era meglio, per i trasporti… per la loro vita di coppia…

Ma lei non ce la faceva più! voleva tornare dai suoi nipotini, alla sua vita di nonnina!

Allora lui aveva comprato quella corda e l’aveva legata, togliendogli passaporto e soldi..

Cosi’, volente o nolente, lei doveva continuare il loro cammino di coppia…ahahahah

Non aveva fatto i conti con le tedesche protestanti dell’est, libere di costumi, ma rigide di morale e di giustizia!!!

Con due tedesche allunghiamo il passo fino a raggiungere il Francese e le ragazze mi chiedono di tradurgli il fatto che se non lasciava subito libera la signora, al primo cuartel della guardia civil avrebbero sporto denuncia e fatto incarcerare…

Lui risponde che non sono fatti nostri e di proseguire la nostra strada!

Acceleriamo che mi esce la lingua dalla bocca per il caldo e la sete, dopo tutte quelle emozioni, ed arriviamo al pueblo.

Cerchiamo il cuartel e sporgiamo denuncia. Il guardia civil ci guarda incredulo, pensa che lo stiamo prendendo in giro….finché vede le foto che abbiamo scattato ed allora, in barba al tanto decantato machismo ispanico, allerta in fretta e furia un collega e vanno incontro alla coppia legata…

Lui era talmente sicuro dei suoi diritti : ” questa é mia moglie e ci faccio cio’ che mi pare!” che resta di stucco, quando i guardia civil liberano dal cordame la moglie e lo ammanettano portandolo  al cuartel.

Lei ci guarda con un sorriso e qualche lacrima di liberazione, un guardia civil la accompagna al treno a Logroño dopo avergli reso passaporto e soldi, noi andiamo in albergue a riposarci e festeggiare con litri d’acqua l’avventura, il marito resta una notte in gattabuia a meditare sul cammino imposto…

Il poi non lo so.

 

*** NUTELLA

Salutate le sudamericane al Seminario Menor, parto solo verso Negreira che é già tardi. Come spesso mi fermo a mangiarmi un panino al baretto di Augas Pesadas, prima della salitaccia dell’alto del mar de Ovellas che ci sputi l’anima, fortuna che l’hanno resa agibile…

Il caso vuole che mi metto lo zaino in spalla proprio quando passano sulla strada due svizzere di Ginevra di origine gallega. Una va come una scheggia, quella carina e che parla 4 lingue; l’altra soffre e non ne puo’ più….Sulla salita faticosa e sbuffante incontriamo madre e figlia angloolandese (lei pittrice, la madre veterohippy). Il nostro gruppetto ansimante arriva alla fontanella e poi al baretto del pueblo seguente, dove urge ristorarci con un buon caffé ed un chupito di orujo de hierbas. Vado in bagno e quando esco, c’é un gruppo misto fuori dal bar ed un tipo che sta parlando con le ragazze. Mi dico: ” toh, questo deve essere un playboy italiano all’acchiappo sul cammino….”

Nel gruppo ci sono altri due italiani con una ragazza spagnola e due tipe, di cui una trascina i piedi, si vede che soffre le pene d’inferno, come la svizzero-gallega.

Si ciarla un po’, tutti abbiamo bisogno di rifiatare…in fondo il cammino fisterrano é la ciliegina sulla torta, lo spazio di libertà, l’andare verso un fine naturale…e quindi siamo tutti abbastanza rilassati, il pezzo lungo l’abbiamo fatto arrivando a Santiago.

La bionda sciancata mi dice ridendo che il mio zaino é troppo nuovo.

Ma come, a me che vengo dalla via della plata, cotto dal sole, “grande camminatore” ahahahah con il mio zaino nuovo da 25€ dei saldi invernali!!! Ah no! questo non si deve fare! Le giro lo zaino  e le dico di leggere sul dorso la lista degli ultimi anni di cammini….

Legge e non fiata più: 1 a 0 , palla al centro…e sorride….

Tanto più che quello che pensavo a prima vista essere un acchiappapellegrine, dopo un momento di riflessione, prende la sua macchina fotografica e mi dice: “ma io ti conosco, guarda! sei in queste foto a st jean pied de port dove facevi l’accoglienza ai pellegrini in partenza! sei tu l’hospitalero che mi ha dato la credenziale ed il primo sello! ” e le mostra a tutti… potere dell’immagine! non sono più anonimo, sono “qualcuno”, merito rispetto ahahahah seghe mentali e miti extralucidi…..!!!!

Iniziamo a camminare verso Ponte Maceira, la strada é larga, le discussioni si frammentano ed i gruppetti si formano scambiandosi note e facendo conoscenza. Anna, la sciancata bionda col mal di piedi, va piano; Antonio che mi ha soprannominato “l’alfa e omega, inizio e fine del suo cammino” cammina con l’altra altoatesina con cui condivide una grossa conoscenza teologica e pare facciano coppia da poco (le due e lui si sono trovati al Cebreiro pur avendo iniziato a saint Jean pied de port). Le svizzere si sono fermate al bar ad aspettare il bus e madre e figlia hanno cose loro da risolvere.

Anna ha difficoltà a pronunciare i nomi dei posti, la lingua le scivola e poi é altoatesina e l’italiano lo parla male. Ha fatto tutto il cammino senza problemi; lei e l’amica l’avevano preparato proprio bene, con tempi e metodi ed allenamento intensivo….l’organizzazione germanica non si smentisce mai!

Pero’ ha cominciato ad avere male al piede negli ultimi 150km. Strano, proprio quando Antonio si é unito a loro !!! In pratica, mi lascia intendere che si é sentita esclusa dall’amica nel suo nuovo “rapporto” con Antonio e lasciata indietro.

Le faccio da accompagnatore, andiamo piano, parliamo un po’, del più e del meno…

E’ chiaro che gli altri due hanno voglia di stare un po’ da soli e li lasciamo andare…stanno scoprendosi l’un l’altra.

Ci ritroviamo a Ponte Maceira, luogo incantato, e poi al supermercato di Negreira, prima di salire all’albergue che come al solito é stracolmo, si dorme per terra, i bagni fanno schifo, l’hospitalera é la solita merdosa che odia gli italiani, forse perché é stata schiava di casa a Roma dal papa…

Troverà la maniera di farci tribolare, impedendoci di mettere i materassi per terra, chiedendo soldi a tutti come se l’albergue non fosse a donativo (se li mette in tasca lei, mi confermerà l’assessore competente).

Bene o male la notte passa, la gente più chiacchierona alla fine si addormenta, gli alcolizzati vomitano un po’ dovunque (siamo in piena estate, tempo di vacanze e di turigrinos). Mi sono sistemato fuori sotto il portico, ha fatto freddo e umido e le ragazzine in tenda hanno chiacchierato tutta notte, era la loro prima tappa.

Un caffé caldo offerto gentilmente mi sveglia, anche se partiro’ quasi ultimo con l’accordo di trovarci al primo bar…

Sono già al bar di Herminio a Vilaserio, pronto a ripartire dopo il pantagruelico panino offerto da lui e da Silvia, la figlia (sono amici da anni e sempre mi fermo, spesso anche a dormire alle vecchie scuole) quando vedo i tre arrivare…ma dove li ho superati? misteri del cammino!

Ripartiamo insieme in due coppie, Antonio e la tipa non aspettavano altro, ci ritroveremo poi al bar di Maroñas per lo spuntino del primo pomeriggio.

Con Anna parliamo molto, di tutto un po’,  e gli altri due ogni tanto si fermano ad aspettarci perché lei trascina la gamba con molta sofferenza.

Arriviamo tardi a Olveiroa, non c’é più posto. Puri non c’é. Non c’é più la cena comunitaria che aveva reso questo posto un punto fermo del cammino. Hanno aperto un ristorante… Cambiano le cose…..Dobbiamo dormire per terra senza niente in cucina, c’é troppa gente!

Alle 5 del mattino, il brasiliano stronzo finto newage accende la luce e pretende di cucinare, fà apposta a fare rumore, figlio di buona donna, viene voglia di strozzarlo…

Mi alzo e gli chiedo di rispettare il tentativo degli altri di riposare, niente da fare; si alza anche Antonio e quasi lo mena…due ore di rumori vari e di luce accesa prima che se ne vada!!!

Sono le sette e stanchi morti, partiamo anche noi…ci fermeremo al bar di Fabrica per  colazione dopo aver sbagliato strada perché immersi in gran discussione sulla vita, la morte, gli amori e gli affetti, l’umanità ed il divino…in cima ai monti, quasi toccando il cielo.

Antonio conosce a memoria i versetti della bibbia, l’altoatesina é laureata in teologia, io un materialista storico dialettico, Anna maestra d’asilo.

Le nostre discussioni proseguono anche dopo la sosta alla cappella sempre chiusa della madonna della neve dove ciascuno scrive qualche riga nel quadernetto sull’altarino, ma sono interrotte da una pioggia subitanea, fredda, violenta con molto vento.

Noi non lo sappiamo, ma era prevista tempesta sul monte e ci siamo in pieno dentro, tutti quanti e non c’é nessun riparo perché gli incendi dell’anno prima e le piogge invernali hanno lasciato il cammino brullo, nudo e scavato dalle intemperie, come stravolto dalla forza degli eventi… e tutti noi con le nostre ridicole mantelline o giacche a vento strappate dal vento , inzuppati fino al midollo, senza vederci nulla, avanziamo come pellegrini poverelli di altri tempi in mezzo al tempo inclemente di questa tempesta, raccattando via via gente che era partita prima di noi che é in perdizione e che nel gruppo trova la forza di non lasciarsi andare….

La Protezione civile di Cee uscirà  a recuperare i derelitti per tutto il pomeriggio e le notte. La tempesta é davvero forte e ci costringe a fermarci nel salone del Grumir di Cee già stracolmo di pellegrini emananti vapori ed umidità, distrutti da questa giornata campale, invece di andare fino a Redonda all’albergue Agacs.

Antonio non vuole fermarsi nello stanzone, preferisce portare le ragazze in hotel, io resto qui. Ci ritroviamo per la cena. Antonio dorme in stanza con la teologa, io avrei potuto stare con Anna invece di tornare nello stanzone umido e puzzolente, ma non ero ancora pronto, i ricordi freschi occupavano ancora il mio lato sessuale e le mie preoccupazioni…

Ci troviamo in piazza al bar per una bella colazione prima dell’ultimo giorno di cammino che faremo a coppie.

Antonio deve prendere l’ultimo bus a Fisterra per tornare a Santiago di fretta….ma prima ci facciamo una monumentale paella che lui soffrirà nel tragitto in bus di tre ore tutto curve per il ritorno…

Noi andiamo al faro con altri amici ritrovati qui per il tramonto freddo col fuoco e tanto silenzio ed un poco di tristezza. La teologa si é fatta rimproverare da un tedesco che pare la conosca, per averlo snobbato negli ultimi 150km…Anna vuole solo tornare a casa, le due non si parlano quasi più.

Nel buio della discesa al paese riesco a convincerle di passare da Roberto al bar Galeria per un chupito prima di andare in branda. Bottiglia, musica, balli, sbronza… Roberto fa un po’ di cinema ballando con una danese compita che si lascia travolgere in un tango…cose da fine cammino! Anche Anna ritrova il sorriso e ballano tutte e due scatenate nello spazio ristretto del bar.

Al mattino un bigliettino sullo zaino mi annuncia la loro partenza mattutina ed un addio.

Io me ne vado a Muxia prima di tornare a Santiago ed al servizio di hospitalero estivo.

 

Storie di brujas (streghe)

Ronda de brujas

Siete brujas formaron la ronda

siete brujas con zapatos rosas

siete brujas con escobas verdes

siete brujas con batas celestes

la bruja de la montaña

la bruja del cafetal

la bruja de la llanura

las dos brujas del volcan

una que vive en la selva

y la que vino del mar

siete brujas formaron la ronda en la noche cujada de luces

siete brujas en escobas verdes.

 

*Paula

PRIMA PARTE- Cizur Menor (Pamplona) albergue de la Orden de Malta.

Infagottata in larghi pantaloni chiari, con due ginocchiere che si lasciavano intravedere, sandali con calze, un grosso bastone rustico, uno zaino troppo grande per lei, sotto il cappello un “viso” da uccellino sperduto…ma un sorriso assassino, uno sguardo franco e due occhi neri come i suoi capelli, Paula camminava sola, ma sempre circondata e seguita dallo sguardo della gente. Lei non era propriamente una vamp o una bellezza  eccezionale, ma aveva una maniera di fare e di muoversi e di lasciar trasparire che non lasciava impassibili. Pareva una midinette degli anni 30, della “Belle Epoque”. Lei lo voleva e lei lo sapeva, era la sua forza.

Dopo aver timbrato la sua credenziale e quella del suo accompagnatore del giorno, un giovane catalano, gli indico la sua branda e continuo il mio servizio di accoglienza.

Nel corso della giornata, all’improvviso come un fantasma fuggente, lei comparirà in “sari trasparente” per andare a docciarsi dello stile:” sconvolgi il branco”. Un fiore carnoso, una “maliarda”, una Circe. Scomparso lo “sciuscià” senza forme dell’arrivo, la seduzione prendeva il passo sul resto…

Come sempre, mi siedo fuori a chiacchierare dopo l’ondata dei pellegrini che aveva riempito l’albergue. Ciascuno ha i suoi problemi, dubbi, preoccupazioni ed io cercavo di fare del mio meglio per aiutarli. Paula girava li’ intorno, qualche parola. Carmelo arriva per la “charla” quotidiana sull’Ordine di Malta con la sua MG 1963 verde e la cattura grazia al suo carisma di señor banchiere privilegiato.

Durante la sua esposizione nella chiesa, io mi siedo di traverso sui gradini del portone per poter nello stesso tempo sorvegliare l’entrata dell’albergue, nel caso in cui arrivino altri pellegrini, ed ascoltare. Già la chiesa é piena di materassi. Osservo di traverso Paula assorta nei suoi pensieri, un’ombra triste vela il suo sorriso, sta ascoltando o é persa nei suoi fantasmi? Lei che sconvolge il branco, dove trova la forza di vivere cosi’, lontana da casa e dal marito, mettendosi in gioco e correndo il rischio di spezzare il suo menage matrimoniale? non sempre, sui cammini, si incontra gente buona e comprensiva…capita di incontrare quello che va giù duro pensando che comprensione ed ascolto siano anche voglia ed apertura sessuale.

Arriva la sera e visto che lei chiede degli spaghetti italiani, faccio l’équipe di cucina con tutti quanti, italiani, spagnoli, tedeschi e francesi (toh, anche francesi e tedeschi sono della compagnia). Un casino in quella cucina cosi’ piccola e con tre fuochi elettrici, ma a me piace questa mescolanza, la comunità in marcia. Ci dividiamo pasta all’amatriciana, del prosciutto, pane e vino e del caffé italiano che avevo nella mia scorta personale. La cucina é piccola, mi ritrovo vicino a lei e gli domando, un poco sbarazzino, perché adesso é cosi’ coperta mentre prima girava in sari “trasparente”. “Ho freddo, mi risponde, ho sempre freddo. Posso bussare alla tua porta stanotte se sento freddo?”. ” normalmente chiudo a chiave, butto li’ un poco ironico, vedremo…” Il suo telefonino suona, é un italiano che la cerca, venuto apposta da Pamplona per vederla. Pare che quasi dappertutto ci siano fedelissimi alla sua ricerca… e lei ne parla volentieri come un cacciatore della sua selvaggina…

Cosa c’é dietro questi cammini, sola, in mezzo ad amicizie ed equilibrismi sul filo del rasoio? Sono intrigato…

Succede un casino tra il cileno e la moglie venuta a cercarlo sul cammino, dove lui ogni anno va a caccia di amiche mentre lei se ne sta alle Canarie con i figli, e tra pianti, strilli, fughe ed insulti mi tocca ascoltare delle storie di famiglie e coppie ordinarie….Proprio da me doveva essere quel giorno li’??? Ma cosi’ mi perdo Paula e resto seduto fuori sotto le scale fino a tardi, sperando che lei compaia…niente.

Preparo i tavoli per la colazione e vado a riposare…cioé a cercare di dormire un poco. Ma come sempre troppo rumore, gente che arriva di notte ed altri che partono presto, un solo bagno, la cucina di fianco, gente che sale all’alto del perdon alle quattro del mattino con le frontaline senza vedere niente del panorama e del percorso, la massa se ne va verso le sei, le sette, le otto ed i ritardatari tiratardi che bisogna cacciar via….. Un’altra giornata ordinaria da hospitalero volontario in agosto sul Camino Frances.

 

2a parte – Villalcazar de Sirga (Palencia) – albergue municipal.

Piccolo albergue, pero’ una camera ripostiglio per me solo. Qui posso dormire e mi sento bene. Dopo due giorni di attesa che i due hospitaleri di turno prima di me se ne vadano, dormendo per terra, l’albergue é per me solo. Sto facendo pulizia e sento una voce dal basso: “Flaviooooo….Cappuccinoooooo…..” oh putain!! E’ Paco, il frate cappuccino di Valencia, che era restato infermo una settimana all’albergue di Cizur Menor, che é venuto a trovarmi! Super! Mi racconta del suo pezzo di cammino, la gente… Cucino del riso e due bistecche. Forse avrebbe preferito andare al ristorante in faccia a mangiare la caldereta…gli piace mangiare, lo metto a regime… cosi’ la prossima volta bevendo e più leggero camminerà senza tendiniti disastrose…..che stronzo che sono!

Poi, fuori sulla porta a fare l’accoglienza ché i pellegrini s’impazientiscono. Gente che conosco, dato che sono passati prima a Cizur Menor. Ogni giorno ne passano a dirmi ciao e si fermano anche in questo posto di mezza tappa a 6km da Carrion de los Condes, nodo centrale del cammino. Questo mi fa piacere, gratificazioni dell’hospitalero!

E là, Paco mi dice che una pellegrina gli ha chiesto di me, la mia mail e che lui gliel’ha data. Ci scambiamo gli ultimi saluti e la promessa di rivedersi l’anno dopo a Cizur e Paco il cappuccino indaffarato, oberato di incarichi e di lavoro, se ne ritorna a Valencia.

Non é passata un’ora che vedo arrivare un tipo grande, pallido, quasi cadaverico, bavarese, ed una tipa infagottata. “Flavio, che ci fai qui? Non dovevi essere a Carrion?”

E’ lei con un altro accompagnatore o cavalier servente che é venuto apposta sul Camino Francès per essere tre giorni con lei.  Pensando che fossi a Carrion, lei voleva fermarsi qui con Josep ed in seguito, visto che lui tornava in Baviera, venire a farmi la sorpresa…

Il bavaro non capisce granché, ma é cotto a morire.

Io continuo a fare il mio servizio, lei approfitta di una pausa, lui sta facendo la doccia, e viene a spiegarmi la situazione. Lei racconta sempre tutto. O solamente quello che lei vuole si sappia. Quello che ne esce é una cosa strana, un gioco sottile di seduzione con la chiusura di un rapporto con il bavaro (che sembra sempre sul punto di piangere) ed un inizio con me che comincio a sottindere le cose.

Mi sento stuzzicato, ma anche un poco impaurito. Non sono più in condizione di tenere un rapporto quando si passa dallo stadio del gioco amoroso fine a se stesso senza domani, come spesso succede qui sui cammini, dove i limiti sono posti dai tempi stessi di arrivo, di partenza, di mancanza d’intimità ed anche dal mio ruolo di hospitalero responsabile.

Come fu il caso in altri albergues e con altre donne, riesco ad evitare di approfondire le cose e si resta in superficie. Ma qui i fatti possono causarmi altri problemi.

Il bavaro é intelligente, innamorato; Paula ha dell’affetto per lui, ma non vuole passare i limiti e gli dà quello che puo’…vanno a cena al ristorante e bevono un po’. Al mattino sono gli ultimi nel bagno e Paula mi sorprende dicendomi che lo accompagna fino a Carrion e che poi ritornerà qui in taxi o con il mio amico Rafa che va a fare la spesa.

Lei vuole restare qui 2-3 giorni per aiutarmi.

AIUTARMI??? mi farà uscire pazzo…! Che cosa gli dico? “vattene?” Lei é una donna adulta, intelligente, che ha bisogno di parlare. Sono attratto dalle sue trasparenze, dal suo corpo snello (che si rivelerà ben solido), dalle sue storie. Mi piacciono le sue attenzioni, la sua maniera di giocare chiaro. Lei mi eccita fino ad avere male, molto male al basso ventre, come quando ero giovincello, e questo, questo é un ritorno ai tempi antichi dei rapporti amorosi buoni e corretti. La mia virilità é quasi spenta. Talvolta devo svuotarmi le borse, ma non ho rapporti veri da lungo tempo. E’ una decisione che ho preso come conseguenza di un rapporto molto sofferto e duro durante tre anni e finito male. Da allora, qualche breve storia e, per di più, i problemi dati della mia vita precedente mi hanno tolto le voglie. Non é lo strumento che non funziona più, lo sento spesso rivivere, ma non lo nutro. Sono solo diventato apatico e distaccato, un poco sardonico, un amico, un confidente, un gentile e non aggressivo sessualmente. In effetti, uno spreco! Ma va bene cosi’, sopravvivo….

Ma dove finisce il gioco, la schermaglia e cominciano le cose serie?

Fino a dove lei spingerà la sua esplorazione dell’hospitalero veterano ed il tentativo di verificazione della sua capacità di seduzione?

Saro’ solo un’altra conquista da aggiungere alla lista?

Visto che lei vuole restare qui come hospitalera de apoyo, metto un altro letto nella camera ripostiglio, come Ralf e Mari Paz per la quindicina precedente, e continuo le mie pulizie mattutine, aspettando Rafa per andare a Carrion a fare la spesa della settimana e recuperarla al bar España.

Che strano, si parlava di lei al bar con Ricardo, con Paco il cappuccino, anche con altri. La pellegrina portoghese era sulla bocca di tutti ed eccola.

La ritrovo al bar che chiacchiera, andiamo a fare la spesa e cominciamo a conoscerci dai gusti alimentari. Dei frutti e legumi per lei, carne e formaggi per me, pesce per due. Niente dolciumi, ma poi la scopriro’ molto golosa…

Lei ha un’andatura elegante, dimena il posteriore. Nasino a punta, dritto, in avanti come una sfida al mondo intero. Seni piccoli al posto giusto (per me che ho sempre amato i più rotondi e grandi!).

Tutto segue un corso quasi normale. Apriamo l’albergue e riponiamo la spesa, mentre i pellegrini affluiscono. Oggi non si pranza, é tardi. Si spizzica e lei dopo qualche scambio di impressioni se ne va a fare la siesta. A sera scenderà giù alla porta con un paio di calzette a cinque dita molto carine che usa quando ha freddo. La battuta sorge spontanea: “allora stanotte non avrai bisogno di me per scaldarti i piedi….” ahahahaha

I pellegrini arrivati sono buoni, dei veri camminanti. Finché poi arriva un portoghese scroccone che vuole l’albergue gratuito e là, io mi chiudo a riccio dicendogli che il gratuito non esiste e che dunque non c’é posto per lui. Se ne va borbottando, ma ritornerà ancora a chiedere la stessa cosa ed io sempre a dire che no. Mangerà al ristorante in faccia (vuole tutto gratis e mangia al ristorante che io non ci sono andato mai???) furioso e lanciandomi sguardi cattivi, ma resto fermo sulla porta e non mi muovo.

Paula mi guarda e mi chiede che succede. Lei lo conosce, hanno camminato insieme, é di quelli che vuotano i sacchetti degli altri nei frigo, che si appropriano di cose non loro, benché dica di essere giornalista, e si vanta dei suoi trofei rubacchiati con gli amici…

Paula é architetto, il marito ha tre magazzini di sport e gli piace navigare in internet e (dice lei) gli spazi di libertà trovati quando lei viene sui cammini.

La notte prepariamo la colazione sul tavolone in cucina per la mattina e lei continua le sue storie di gente conosciuta sui cammini, della sua vita, delle sue cose. Un fiume in piena, potrei scrivere delle storie per tutto quello che so di Josep, Patrizio etc. etc.… Siamo noi gli anelli di una lunga catena? Sono io l’anello debole?

Pudico come sempre, mi metto a letto. Lei non ha né reggiseno né gioielli, solo un tanga string. Lei é tutta nera, abbronzata, depilata. Sole artificiale o spiaggia?

Lei ha freddo ai piedi e mi dice di riscaldarglieli un poco e niente di più, pero’…Sono in tiro ed il suo culetto soffice e mobile mi acchiappa e si muove ritmicamente…Che calore!

Chissà cosa pensano i pellegrini aldilà della porta?

Lei mi dice che non vuole penetrazione e che se in futuro lei si inebria e scopiamo, bisognerà che io usi il preservativo.

Che culo, ne ho due, regalati da una parigina con cui non avevo voluto fare e che me li aveva offerti per prendermi in giro. Non ne avro’ bisogno.

Il letto (in effetti sono le due brande che abbiamo unito) si divide in due, i materassi si separano; ci ritroviamo incollati al muro su di uno solo, il mio. Sarà una lunga notte di “io voglio, anch’io; toccami qui, non là; dai! no!”. Lunga notte insonne.

Parliamo anche. Ormai si é stabilita un’intimità talmente naturale che puo’ sembrare che ci conosciamo da moltissimo.

Lei é reattiva al tocco, molto attenta ed intenzionata. Io ne sono stupito,quasi sconvolto! che succede? ho voglia di morderla, di divorarla. “niente segni, per favore”.

Il mattino ci vede stravolti, senza aver dormito. Fermo la porta dell’albergue e ritorno a letto: ultimi assalti. Ho fame! Non riesco ad orgasmare, ho male dovunque, al basso ventre, dei crampi alle gambe. Sono dolce e gentile. Lei é soffice, agile, tenera, vellutata,  che sento la voglia di carezzarla, di morderla, di succhiarla, di leccarla tutta come un gelato al cioccolato. E’ rasata con dei peluzzi che stanno ricrescendo e che lei si depilerà l’ultimo giorno a letto con me, la signora impudica.

Osservo e vivo, stupito, questo ménage che prende forma molto dolcemente e facilmente. Degli intervalli di storie della sua vita, del servizio come hospitalero, la siesta con abbracci e baci, la cena, il défilé esibizione al bar del villaggio per i vecchi che si ricorderanno di lei per tutto il resto della loro vita (come mi diranno dopo la sua partenza, compresi Rafa e Ricardo), la preparazione della colazione, la notte insonne con abbracci, incontri scontri, orgasmi a metà etc etc.

Un pomeriggio lei mi chiede un massaggio (che durerà due ore) ed arrivero’ a leccargli il sole nascosto, il top dell’amore. Nulla é vietato, lei ruscella come una fonte ed ha dei muscoli vaginali che solo una professionista puo’ tenere in esercizio e conoscere (me ne accorgero’ durante un coito interrotto per fatica). Lei é un puro scorpione. Se lei scopa cosi’ tutti i giorni, capisco Pedro che la lascia partire tutti gli anni sul cammino per potersi riposare un po’. Lei é una femmina di 36 anni splendida, affettuosa, graziosa, sexy, con un viso da gattina e dei capelli da sparviero. Lei sa quello che vuole. Lei conosce gli uomini ed i suoi limiti.

Paula dice che io glieli faccio oltrepassare. Non so cosa credere. A parte l’età e lo spirito, non ho gran cosa da apportare e non posso investirmi in una relazione senza futuro. Lei stessa mi impone dei limiti, lo fà con tutti, ma pare che con me siano meno stretti!

Lei vuole venire a st Palais, a Nice; devo passare in Portogallo. Vorrei proporgli di camminare con me dopo il servizio, ma lei non vuole, vuole fare un figlio a Pedro. Vorrei che venisse come hospitalera l’anno prossimo, sarebbe una maniera di essere insieme ufficialmente e di recuperare l’anno perso.

Ma, che cosa sto dicendo? Lei é sposata ed ama suo marito. Io non sono altro che il “suo amore di cammino” . Per 2007?

Adesso lei vuole veramente fare l’amore con me. Lei mi ama e/o mi desidera.

Io, nelle lunghe giornate di servizio e di attesa, ho talmente male al ventre che perdo il mio potenziale. Un disastro. Quando sono pronto, lei é stanca e dorme; quando vuole lei, mi sono già sparato un segone in bagno, veloce, per calmare il dolore.

Lei ama corteggiare e lasciarsi corteggiare. Si lascia ammirare. Ma con me é una piccola fidanzatina modello. Lei vuole ascoltare le storie degli altri, vivere, condividere con altri, aprirsi e poi mi racconta…

Tutto il pueblo parla di noi, o meglio, di lei. Negli spazi intimi lei é la regina, l’ape regina, la maga Circe, la sciantosa. Talvolta non mi lascia neanche parlare, ha un’opinione su tutto. Nei grandi spazi, ce ne sono altre, più vistose, ed é per questo che preferisce villaggi e albergues piccoli lontano dalla folla.

Talvolta delle telefonate del marito e di altri ammiratori folli.

Lei comincia a staccarsi un po’, già proiettata a lunedi’ mattina.

Perdo piede. Come ha potuto in cosi’ poco tempo prendermi tutto intero e divorarmi?

Facile, dite voi, eri a digiuno!

Mi lascio prendere da lei e dal suo affetto che gli rendo intensamente. Ma ho le pile scariche e vedo il suo distacco progressivo. Rafa mi salva proponendo le fiestas del lunedi’ a Carrion. Lei conta e riconta i giorni di cammino, i km, le distanze, i bus, i treni, l’arrivo a Santiago, il ritorno a casa. Che fare??? distaccarmi? provo e non ci riesco. Let it be.

Lei mi mancherà molto, parte martedi mattina, la notte a cercare di orgasmare e a dormire separati. Lei mi guarda e sento una scossa forte nella colonna vertebrale fino al cervello, due volte, una scarica come un orgasmo cerebrale. Putain de vie.

Lei vuole/ deve andarsene. Non posso più trattenerla, andrà a prendere il bus a Carrion per Leon, senza di me.

Ho paura delle mie emozioni, delle mie reazioni. Gli ultimi baci, abbracci, la colazione che non va giù, una lacrimuccia…sono svuotato, sfiancato. Ho perso qualcosa di buono, come mi dicono le genti del villaggio: ” tu non dovevi lasciarla partire, una bella coppia eravate!”.

La giornata passa lenta, la sera la chiamo col telefono pubblico a gettoni. La sua voce é lontana, differente; lei non mi riconosce neanche, in mezzo ai rumori dell’albergue di Leon. La sento distante, anche se mi dice di aver cercato il numero del bar qui vicino per chiamarmi. Lei ha già altri amici, mi racconta, la chiamero’ per darle il numero di Rafa.

Fà freddo e tremo. Finisco di scrivere e preparo la colazione.

Vita da hospitalero….solo.

 

Paula – 3a parte

 

Il giorno seguente la chiamo e resto senza risposta, lei non apre il telefonino.

Ecco! Adesso non mi risponde neanche più, é davvero finita. Riprovo più tardi e lei mi dice che aspettava la mia telefonata, che aveva portato il telefonino ovunque, anche sotto la doccia, che ha aspettato ieri sera che io la richiami per darle il numero di Rafa. Glielo do’ e parliamo un po’, cioé lei mi racconta del suo cammino…per me l’importante é di sentire la sua voce. Lei mi manca molto, non riesco a dormire ed ho voglia di piangere sul mio destino, su quello che ho perso durante questi ultimi anni, i perché ed i percome, su quello che posso, voglio o devo fare dopo un incontro con una cosi’.

Riaddormentarmi di nuovo? Curarmi e cercare una compagna? Abbandonare tutto e correrle dietro sul cammino?

Lei si preoccupa dei costi telefonici, io non riesco più a vivere senza pensare giorno e notte a lei. Ho una morsa che mi serra il cuore. Lo stomaco é annodato e non posso mangiare. L’amo sapendo che non c’é avvenire, cosi’ come il presente é stato breve.

Lei chiamerà Rafa alle 21 h per ringraziarlo di tutto.

Il giorno seguente scorrerà scrivendo ed aspettando 19h per chiamarla. “Mon amour” lei mi racconta la sua giornata, il suo affetto, ma non ritornerà. Lei é davvero preoccupata della fattura telefonica che il marito vedrà col mio numero, non vuole che la chiami più fino a domenica. Che pena!

Vera e Mauricio arrivano, conosciuti a Cizur, lui mi farà un massaggione duro in segno di amicizia, Vera capirà la mia pena. Adesso che sono al top della forma, lei non é più qui. Che spreco!!!

Non mi masturbo neanche, ho troppo male al cuore e la testa va sempre a lei. Il venerdi’ resisto alla tentazione di chiamarla sperando che lei lo faccia. Rafa mi vede al bar all’una e mezza e mi dice : ” che fai? abbandoni i tuoi pellegrini ?”

Oggi é sabato, magari…

Piove e fa freddo. Lei avrebbe potuto restare qui, vedere gente nuova tutti i giorni, stare un po’ con me.

Ha preferito andare a camminare, allontanarsi. A mente fredda, questa é stata una saggia decisione per lei, per il suo ménage, per la sua vita futura. Provero’ ad uscirne, ma mai come adesso , sento il peso di restare fedele al posto, qui come hospitalero di servizio, e di non essere in cammino con lei.

In fondo, che cosa posso rinfacciarle? Di avermi risvegliato da un lungo sonno? No! Il male al basso ventre é compensato dalla riscoperta di carezze, baci e morsi d’amore.

Di avermi sedotto? No! Perché implicitamente già dagli inizi, era chiaro che ci saremmo amati, era già evidente a fior di pelle.

Di avermi abbandonato? No! Perché presto o tardi, lei doveva rientrare a casa.

Puo’ darsi che avrebbe potuto fermarsi ancora una settimana e forse le avrei rivelato cose mai dette prima. Ma, forse, lei non voleva sentirle. Il dubbio resta, forse, che una volta la conquista riuscita, sedotto e messo a nudo l’uomo hospitalero veterano italiano (che lei pensava più giovane di età anagrafica), lei non vedesse nient’altro da dire o da fare.

Da li’, il taglio che io immagino già praticato prima con altri accompagnatori innamorati pazzi. Come io lo sono adesso.

Sabato dura un’eternità, domenica peggio. Voglio andarmene, odio questi turigrinos, voglio rientrare a st Palais, al computer, al telefono, alla solitudine, al silenzio dei quattro muri dellla maison franciscaine.

E forse, lei verrà, come promesso. E forse, guariro’. E forse, ridiverro’ freddo e lucido. Forse.

 

PS : la notte della domenica mi sono svegliato in piena notte in sudore, qualcosa era successo. Non potevo più dormire. Angoscia e paura di averla persa. La fine di tutto.

Le telefonata si rarefanno. Voglio abbandonare tutto e correre in suo soccorso; lo zaino é pronto, Rafa é d’accordo. Una notte ed un giorno di viaggio per fare i 70 ultimi km con lei, mano nella mano. L’ordine arriva di non abbandonare il posto fino a sabato prossimo, senno’ niente posti in futuro. E lei é attesa dai suoi genitori e da suo marito a Santiago.

PS n°2 Quello che succede poi, non concerne che me e non fà parte di questa storia, ciao, buon cammino…

 

LA FINE

Mi sono preso la faccia tra le mani e mi sono messo a piangere. Le lacrime sgorgavano come un torrente in piena che non potevo e non volevo fermare. Quasi come una constatazione che era finita, che non c’era più niente da fare? Anche le ultime illusioni si erano trasformate in pietose speranze, in una certezza che non c’era più un futuro possibile. Porca puttana, risvegliarsi dopo 15 anni per accorgersi che era solo una fiammata di tizzone spento che si riaccende bruscamente e subito si spegne perché non c’é più legna da bruciare. Quel filo di vento improvviso aveva risvegliato la mia tenerezza assopita, quelle languide carezze eccitato il mio essere uomo, quella voce sciolto il mio cuore ed il mio cervello.

Tre giorni, é la sua strategia, come la chiama lei. “Non posso cambiare la direzione del vento, ma posso orientare le mie vele per andare dove voglio”. Questo era il suo modo di pensare. Tre giorni e se ne era andata. Qualche rimorso? Forse che si, forse che no.

Subito altri avevano cercato di prendere e preso il mio posto. Ventiquattro “amici” in quaranta giorni. Cazzo, che strategia.

Dopo la presenza fisica, gli aveva tolto anche la voce. Quella voce che lo faceva stare bene, calda e parlantina. “Non devi più telefonarmi” Restava solo il chat sul messenger. Cose barbare in cui non hai sfumature ed inflessioni, urla e sussurri. Poi, anche quello divenne vietato. Doveva lavorare, non aveva più tempo. Tranne quando andava a lei.

In un mese la strategia diventava troppo lunga da mettere in pratica. Lui si aggrappava a tutto pur di continuare. Ma dove mai le avevano scritto cose cosi’? ma dove mai l’avevano carezzata cosi’? Lei non riusciva più a dormire, i suoi orgasmi maritali diventavano faticosi. “E’ colpa tua ed ora mio marito si sderena per farmi orgasmare. Devi darmi un orgasmo ben fatto cosi’ che ritorno come prima!” Ma quando mai…

Chiacchiere da dopo sbornia o da durante. “vienimi a trovare, subito!” “no aspetta, no, non so!” “me ne vado in marocco, per 7 giorni non ci sentiamo”

“Perché? Non hanno il telefono ed internet laggiù?” quante palle, quante strizzate a queste palle rinvigorite e rinate. E lui che ci cascava sempre, non dormendo e sperando e sognando.

Ora non aveva neanche più il messenger. Tra tre giorni é il mio compleanno, io speravo ancora. Tra due settimane me ne sarei tornato a casa, solo, con alcune foto, nessuna insieme.

Strategia. Ogni anno, nuovi amici e vecchi si rincorrevano per i fatidici tre giorni. Poi, al ritorno, lei si lamentava se pochi o nessuno riallacciavano i rapporti con il marito a fianco.

Ma che, siamo scemi? Amore? Ma quale amore? Me l’hai data, l’ho presa, hai tuo marito.

Solo i senior maturi continuavano a sbavare sulla giovin signora, fino a ridursi ai limiti del ridicolo a degli esseri striscianti e piagnucolosi. Suicidio o depressione, o entrambi. Pronti ad accettare anche i siti internet di scambio…ma che cazzo !

Ed io, ora, sto qui, con le mani sugli occhi, le lacrime mi bagnano faccia e braccia. Mi svuoto delle mie pene, esausto. Spero di dormire e di non svegliarmi più…se non con un bacio in fronte. L’ho amata e le ho voluto bene, ma era solo un gioco di strategia, di seduzione… ed ho perso. Non mi resta che piangere…

 

UN HOSPITALERO

un hospitalero é una persona che dopo aver fatto il suo cammino, decide di dare un po’ del suo tempo e delle sue energie per servire gli altri….

un hospitalero é una persona che ha voglia di rendere agli altri quello che ha ricevuto…nel bene e nel male !!

un hospitalero é disposto a sopportare le persone moleste, a pulire la merda, a fare da balia, a non dormire molto, a mangiare meno, a non curarsi di sé ed a curare gli altri…

un hospitalero vive contento delle piccole gratificazioni che gli sono concesse….

un hospitalero é felice quando si cena tutti insieme, si parla, si sta bene insieme…

un hospitalero non giudica mai i rompiballe, ma sa apprezzare le persone gentili, educate, socievoli…e che capiscono i suoi sforzi e la sua buona volontà !

un hospitalero ascolta sempre, anche se da un solo orecchio…quelli che hanno sempre cose da dire o da raccontare…soprattutto su se stessi !

un hospitalero talvolta parla di sé, ma sempre con pudore e solo per rompere il silenzio…

un hospitalero impara sempre con l’esperienza e migliora con gli anni come il vino buono…anche se puo’ succedere che diventi aceto !!

un hospitalero é spesso incazzato (lui sa il perché), ma basta prenderlo per il verso giusto..

un hospitalero che continua ad essere incazzato, malgrado le cose vadano bene, é meglio che se ne torni a casa e smetta di fare l’hospitalero…

un hospitalero non é mai troppo servizievole, senno’ sembra un lacché…

un hospitalero spinge il suo servizio fino al punto limite di mettere il sello sulle credenziali dei turisti in branco, sapendo che sono appena scesi dal pullman…

un hospitalero non permetterà mai ad un turista di entrare nell’albergue a fotografare i pellegrini, la loro sofferenza, la loro stanchezza e le loro vesciche…

un hospitalero non permetterà mai di entrare a vedere se i letti sono comodi…

un hospitalero non  permetterà mai ai « professionisti del cammino » di vedere se le loro « amiche » sono arrivate….riserva di caccia!!

un hospitalero sa comprendere pene e dolori, talvolta li sa curare, spesso si cura pure lui…servendo gli altri…

un hospitalero sa tagliare corto e decidere le priorità, senno’ che hospitalero é ?????

un hospitalero sa curare le vesciche, le tendiniti, le contratture, la dissenteria e la solitudine…

un hospitalero non puo’ ricordarsi di tutti quelli che passano di li’….ma tutti si ricorderanno di lui…nel bene e nel male !!!

un hospitalero deve essere poliglotta e capace di parlare con le mani e con i segni tracciati su fogli improbabili di ogni tipo…

un hospitalero é felice quando gli mandano una email con foto od una cartolina: l’inverno é lungo e duro per chi é abituato a stare in mezzo a decine di persone  7 mesi all’anno…

un hospitalero é come una puttana: é di tutti e di nessuno…

un hospitalero deve camminare per vedere cosa abbisognano gli altri…

un hospitalero deve vedere le cose con gli occhi, con l’istinto e con l’esperienza..

un hospitalero da’ precedenza alle persone anziane…perché sono le nostre mamme

un hospitalero da’ precedenza ai bambini ed alle mamme…perché sono le nostre mogli ed i nostri bambini

un hospitalero darà sempre la precedenza alle ragazze …soprattutto se giovani e carine…perché sono le nostre figlie

un hospitalero tratterà benissimo le signore sole…perché sono le nostre…..amiche!!!

un hospitalero di norma non cede ai favori delle signore…a meno che non ne sia innamorato…per un giorno, un mese o per la vita…

un hospitalero non farà propaganda religiosa perché tutti hanno i loro diritti …

un hospitalero offre gratis le sue conoscenze del cammino, non é una enciclopedia da sfogliare…

un hospitalero scompare dalla scena quando capisce che sta diventando un mito od una leggenda metropolitana…

un hospitalero tratta sempre male altri hospitaleri che non fanno bene il loro servizio

un hospitalero deve imparare con quelli più esperti e non si finisce mai di imparare!

un hospitalero é un tipo curioso per natura e finalizzato per esperienza…

un hospitalero sta sempre bene che sia con 0, 1, 100, 1000 pellegrini nello stesso momento.

Un hospitalero é sempre, ovunque e comunque, un hospitalero. Buon cammino! flavio

 

MORMORII DEL CAMMINO DI SANTIAGO

 

Ho sperimentato il silenzio nutritivo; il silenzio di melodie soavi; il silenzio delle pietre e degli alberi ricurvi; il silenzio fraterno, il silenzio stanco, quello vivificante; il silenzio silenzio e nulla più; quello animato delle foglie al vento, dei tronchi che si curvano, dei fischi, delle onde, degli scoppiettii delle rocce, dei voli di farfalle, della frescura di acque danzanti; il silenzio bianco della nebbia e quello che si condensa in fine ed abbondante pioggia, quello delle croci con lo sguardo sempre levato al cielo e che vi stoppano; il silenzio rumoroso dei boschi dove le fate e gli gnomi volteggiano e gironzolano; il silenzio come sintonia della danza ricevuta al sole su colline verdi; il silenzio dell’aria appiccicato alla processione canterina di pellegrini; il silenzio delle greggi, del cane che le sorveglia, del grano che aspetta la falce, della nuvola che si dissolve, del fiore amato dall’ape; il silenzio della colomba proprio prima del rucolio; il silenzio del mantra emesso dal centro della terra, delle sue spalle caricandosi di grilli e di cicale, quello del cammino stesso, di questo sentiero che più che un sentiero é un flusso; il silenzio tra le righe del pentagramma di una conversazione con compagni pellegrini o quello che tra loro sembra un sorriso e provoca così una misteriosa ed inevitabile tenerezza come inevitabile é il fiorire ogni anno delle gemme; il silenzio mistico dei conventi e dei  seminari, dei chiostri aperti all’universo, il silenzio sospeso tra laude e laude delle monache come sfondo alla trasognazione del corpo febbrile, disfacendosi e ricomponendosi in una nuova sinfonia, il silenzio del proprio sangue che vibra; il silenzio canoro della sorgente che sgorga borbottando, quello della rugiada nei prati e dell’erba nel petto e nel ventre, quello dei villici aspettando la chiacchierata timida col pellegrino che passa e che beve da questa come da una fonte di saggezza, come lo stesso pane; il silenzio tra russare e russare di pellegrino che riscatta teso la sua fatica, che é anche la tua, al tuo fianco; il silenzio del passo delle mucche, del Passo Honroso, delle vetrate della cattedrale di Leon, dei bicchieri che i suoi giovani leonesi, nelle aurore domenicali, bevono per dare più colore al loro cammino ebbro di ritorno a casa con gli amici, prima di acciambellarsi tra le lenzuola; il silenzio della sopravvissuta all’offensiva napoleonica nella cattedrale di Burgos, custodita dal silenzio del Cid, il silenzio del Cristo di Burgos, della Vergine del Cammino e del Bambino, della Vergine curva del Cebreiro e del suo bambino, quello del Cristo naturalizzato di Fisterra, quello della salvatrice Vergine da Barca, là sulla collina di Muxia, e fino al silenzio dello stesso Santiago, il sanguigno fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo; il silenzio dei polverosi e dimenticati quaderni della piccola scuola che oggi é suolo e banco per il pellegrino; il silenzio titillante e fugace delle stelle; il silenzio magico di un villaggio senza tetti e fogne, in altri tempi gloria nel cammino, grembo di pellegrini; il silenzio del suo crocifisso in piedi come stendardo di eternità, di permanenza delle sue anime che abitano le pietre della sua unica via-cammino (Foncebadon), il silenzio della polvere sollevata, quella di uomini e donne-terra, quello delle loro anime piene attraverso alcuni occhi-finestre; il silenzio delle tombe del balcone di Triacastela, argentate dalla luna, vicino alle quali il sonno del pellegrino può essere tranquillo, poiché smitizzano la morte; il silenzio attento dei cani delle donne galiziane; il silenzio della mano che scolpisce amorevolmente il bordone e compagno inseparabile, il silenzio della fronte appoggiata a questo, delle mani giunte a questo; il silenzio personale proprio del bordone; il silenzio popolato di un camminare mano nella mano con un pellegrino-amico, che sia nel corpo di un uomo anziano, di un valente hospitalero o di una geisha giapponese; il silenzio del calice e della pelle dei tamburi del Cebreiro, delle sue capanne antiche di pietra, quello che ogni uomo e donna vorrebbe provare nei suoi passi di approccio all’arrivo al Portico della Gloria; quello del crepitio degli indumenti che si estinguono nel fuoco purificatore nelle rocce del Capo Fisterra; il silenzio digestivo delle altrui parole tremende e del suo pianto di gioia, che é anche il tuo, il silenzio del sole che si corica e si copre col lenzuolo dell’oceano, il suo silenzio anche stiracchiandosi al risveglio tra violetti, azzurri, rosacei e rosati…; quello dell’indiano apache che contempla l’alba in America, il Nuovo Mondo; il silenzio di un falco che sceglie la medesima pozza d’acqua e lo stesso tuo momento per bagnarsi, il silenzio di un palazzetto dello sport vuoto al mattino, con le grida dei tifosi, i rimbalzi della palla e l’ansimare dei giocatori che flottano nell’aria; quello della gioia di cagare sopra l’erba e di abbandonare il tutto affinché diventi sterco fertilizzante; il silenzio quando tu ti distacchi o no dal cammino salendo al secondo piano di un autobus, il silenzio gioioso del tramonto di ritorno a casa-famiglia-amici (con cui sempre hai camminato anche in questo cammino), un tramonto così bello come quello di Fisterra, oggi.  CARMEN “GUTI” GUTIERREZ FELIPE                                                                                     (traduzione di Flavio Vandoni)

 


Un commento su “CAMINO4 e altre storie

  • Matteo Soldi

    Interessantissimo, scritto molto bene e a tratti anche esilarante.

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