Di ELISA FERREIRA PRIEGUE
(Università di Santiago de Compostela)
IV SEMANA DE ESTUDIOS MEDIEVALES – NÁJERA 1993
La vedova di Bath, collezionista di vie di pellegrinaggio e di mariti; l’infaticabile -e supponiamo stancante- Etheria, i giramondo e girovaghi di ambo i sessi che nei secoli medievali si sbrogliavano la vita andando da abbazia a castello e da santuario a ospitale, sono stereotipi che non muoiono. Li vediamo tutti i giorni, confusi tra la moltitudine di gente che viaggia per necessità e con un obiettivo concreto; sono quelli di sempre, i patiti del wanderlust, che adesso dispongono di viaggi organizzati e club di vacanze, di programmi della Terza Età, di pellegrinaggi (o escursioni) a Roma, Lourdes e Fátima e di viaggi iniziátici a Katmandú ed al Machu Picchu.
Nel Medioevo, gran parte di questa gente circolava sotto le spoglie di pellegrini, giocolieri, vagabondi e commercianti ambulanti. Sono questi che hanno forgiato l’immagine tipica del viaggiatore. Pero’ questa immagine ci devia un poco dal fatto reale che nei cammini possiamo incontrare una gamma molto più ampia di rappresentanti delle diverse classi sociali, e che tutti questi hanno il loro proprio stile ed i loro mezzi quando si spostano. Anche oggi, con tutti gli aiuti, facilitazioni e informazioni immaginabili, c’é gente che “sa” e gente che “non sa” viaggiare. In gran parte pare che si tratti di scienza infusa, di questo istinto che spinge a scegliere la veste adeguata, a far bene la valigia, a trovare i buoni posti per mangiare e farsi amico della persona utile.
E’ indubbio che nel passato le persone si dividevano già in queste due tipologie, ma sia l’uno che l’altro, quello che sa e quello che no, non esitavano a lanciarsi sui cammini, per gusto o per necessità.
Il saper viaggiare, arte e scienza, non era una raffinatezza; era una necessità di sopravvivenza, poiché ogni spostamento si faceva in condizioni precarie e con un importante potenziale di imprevisti. Bisogna ricordare una cosa, anche se pare ovvia: nelle epoche precedenti ai servizi pubblici di posta e telecomunicazioni, moltissime persone dovevano muoversi o muovere altri per conto loro, dato che dovevano contattare persone lontane o risolvere qualsiasi tipo di problema. E che questi non erano sempre avvezzi al saper viaggiare, anzi molti improvvisavano il viaggio o erano costretto a farlo. Pochissime persone, durante tutto il Medioevo, quale che fosse il loro status sociale o professione, potevano garantirsi una vita sedentaria. Se i cammini medievali si presentano come solitari ed anche abbandonati, non era, come qualcuno ha sostenuto, a causa della poca frequentazione e di chi viaggiava, cioé pellegrini e crociati, più qualche mercante occasionale. I cammini erano solitari perché la densità relativa della popolazione era bassa, pero’ l’uomo medievale era proporzionalmente più mobile di adesso.
*Cominciamo con il gruppo più tradizionalmente associato all’immobilità, i contadini. Li incontriamo in movimento quando vanno ai mercati per vendere le loro eccedenze e fare acquisti, e fanno lunghi viaggi fino alla fiera o la città. Spesso é una sola persona della famiglia – l’uomo- quello che si sposta; pero’ talvolta possiamo vedere, nelle miniature, la famiglia completa, ben carica, sulla via del mercato. Possono esssere persone con poche possibilità che abbisognano di tutte le braccia, spalle e teste possibili per caricarsi i fardelli, invece di caricare un asino; pero’ questi spostamenti erano anche la possibilità di prendersi un giorno di festa fuori dal lavoro quotidiano o di risolvere altre cose. Nelle leggi di molte città nuove si favorisce e si anima questa affluenza di contadini, liberándoli di divieti e imposte di tránsito.
*Non possiamo dimenticare il fenómeno delle ripopolazioni ed occupazioni di nuove terre che causava migrazioni di rurali, talvolta molto distante dai luoghi di origine. Non sappiamo molto delle condizioni in cui si svolgevano questi spostamenti, pero’ dalle fonti castellano-leonesi si deduce che prima si muovevano gli uomini e poi arrivava la famiglia, una volta che la situazione si era stabilizzata, per iniziare una nuova vita su terre proprie o del signore, partendo da zero.
*Contiamo anche per tutto il Medioevo con una amministrazione itinerante, a partire dal re e dal suo seguito per finire con i signori locali ed i loro rappresentanti, che non possono fare a meno di spostarsi continuamente sul terreno se vogliono mantenere un controllo mínimo del loro territorio e dei loro soggetti.
*Itinerante ad alto livello é anche il clero: l’organizzazióne ecclesiástica, sempre più centralizzata, muove molto il suo personale: visite ad limina dei vescovi a Roma, visite pastorali per le diocesi, visite del clero rurale, assistenza a sínodi e concili, missioni … Tutto cio’ solo per l’attività strettamente religiosa, perché nella veste di grandi proprietari con possedimenti estesi e dispersi, si vedono monaci e chierici che si spostano per fare acquisti per la cattedrale o l’abbazia o per vendere il prodotto delle loro terre. Oppure per adempiere le loro funzioni di amministratori territoriali o di inviati.
*Un altro gruppo minoritario molto mobile sono gli studenti e letterati, gruppo cosmopolita che svolge la sua attività senza frontiere in tutta Europa come docente o studente.
*I re ed i magnati sono indubbiamente dei grandi viaggiatori: senza basi fisse, percorrono durante l’anno i loro domini, sostano nelle loro diverse residenze, cercano di stare sul loro territorio e nelle città migliori, si muovono per campagne militari o per visite di protocollo, vanno in pellegrinaggio privato o ufficiale, a festività e santuari. E pure le regine non stanno ferme; molte hanno partorito in viaggio in luoghi sperduti, talvolta per non dare alla luce la prole in una città o villaggio che cosi’ avrebbe goduto l’esenzione dalle imposte, vista la nascita reale.
*Neppure i morti illustri stanno fermi e riposano in pace dove sono caduti. Da sempre i re hanno i loro luoghi di sepoltura favoriti, il loro panteon. I nobili scelgono le loro chiese favorite o di proprietà. Il vassallo feudale é tenuto a rimpatriare il corpo del suo signore caduto in battaglia. Nascono cosi’ sui cammini cortei funebri e pure macabri, dovendo seppellire per strada ad ogni tappa pezzi del cadavere: viscere, carni, cuore. Molte cronache lo raccontano, pero’ il corteo funebre forse più raccontato fu quello della regina Eleonora di Castiglia, moglie di Edoardo 1 d’Inghilterra, morta a Harby nel 1290, che fu trasportata a Westminster, a 200 Km. di distanza in 12 tappe marcate da 12 croci monumentali, le Eleanora Crosses, l’última ha dato il suo nome al londinese quartiere di Charing’s Cross.
* Che possiamo dire dei mercanti, gli itineranti per eccellenza? Anche nel tardo Medioevo, quando i grandi mercanti si sono sedentarizzati, continuano a spostare per via marittima e terrestre una infinità di fattorini, servitori, agenti e trasportatori di ogni genere.
* Gli stessi artigiani, muratori, carpentieri, maestri d’opera, ferraioli, vetrai, scalpellini…per non parlare degli artisti, viaggiano per contratto o per accompagnare le loro opere, autentici nomadi che escono dal loro paese per non più ritornare o effettuano migrazioni stagionali.
PORSI IN CAMMINO: IL VIAGGIATORE E LO SPAZIO
Il sentimento dello spazio dell’uomo medievale che funziona perfettamente quando si tratta di spostarsi, non dipende come il nostro dalle rappresentazioni visuali. A riprova basta citare la mancanza di una cartografía terrestre mediamente funzionale, che abbia una rappresentazione dei villaggi e della rete viaria esistente. E questo non prima dell’anno Mille, per non parlare di mappe simboliche e concettuali non pertinenti. Solo negi secoli XIV e XV si elaborano eccellenti portolani per naviganti. Una sola eccezione, la famosa mappa di Gough, fatta in Gran Bretagna nel secolo XIV, documento prezioso per la ricostruzione della rete viaria dell’época, che resta un caso unico e non genero’ copie sul continente.
L’uomo medievale quando deve intraprendere un viaggio per una strada sconosciuta si fà una lista di tappe, questo é l’importante: sapere dove arrivare ogni giorno per rifocillarsi e dormire, la strada la si chiede di volta in volta, anche perché molti fattori possono cambiarla: guerre, pestilenze, un ponte rotto, una forte nevicata… che possono provocare deviazioni importanti.
Ci sono percorsi molto conosciuti: le grandi arterie commerciali e di pellegrinaggio ed é abbastanza facile seguirle. Molti le hanno seguite e possono dare informazioni verbalmente e talvolta per iscritto, come la ben conosciuta guida di Aymeric Picaud per il Camino de Santiago.
Un altro fattore che aiuta a fissare il proprio itinerario é la fiscalità viaria: ci sono strade e punti di controllo obbligatori per i mercanti che passano nel paese o varcano le frontiere, e tutto appare codificato in ordinanze reali già dall’epoca carolingia o nei capitoli delle Cortes castigliane. Molti manuali commerciali del Medioevo ci danno informazioni sugli itinerari ed i racconti di viaggio si diffondono e continuano ad essere letti, anche secoli dopo. E’ importante considerare le tappe possibili – villaggi, abbazie, castelli, ospitali- nel contesto delle note di viaggio, dato che non ci sono scelte diverse dall’andare a piedi o con una cavalcatura. L’uomo medievale é un gran camminatore: l’analisi degli scheletri pone in evidenza, soprattutto a partire dal secolo XI, che la sua corporatura é condizionata e adatta alla marcia, con grandi e forti gambe. Poteva in eccellenti condizioni coprire fino a 55-60 km. giornalieri, anche se questi sono record, ma normalmente la distanza media coperta in un giorno a piedi era di 25 km. (circa 5 leghe).
Un cavaliere in forma con un cavallo straordinario poteva fare 100km al giorno, ma in realtà percorreva distanze come i camminanti e andava al passo, spesso in gruppo con i pedoni.
ATTREZZARSI PER IL CAMMINO
Salvo il caso dei pellegrini poveri e penitenti, di vagabondi, disgraziati o di gente che fa un viaggio breve, sui cammini medievali il viaggiatore si sposta ben carico. Alcuni hanno la loro mercanzia oppure traslocano con famiglia e bestiame. Alcuni viaggiano in convoglio con viveri e generi di prima necessità perché sanno che non troveranno spesso locande o taverne ed anche per sicurezza. I nobili viaggiano spesso con corteo e tutto il vettovagliamento. Un viaggio bien organizzato, con una compagnia sufficiente, significa possedere una scorta di denaro, avere ricambi di indumenti, armi e utensili necessari, tende, bauli, tappeti, cucina e stoviglie. Le cavalcature che aiutano a portare il tutto necessitano anche loro foraggio e cure e non sempre ci sono lungo l’itinerario. Bisogna pensare anche a comprare e trasportare bevande e cibi, oltre alle mercanzie.
La iconografía ci fa vedere come potevano essere questi cortei, come nel famoso affresco di Benozzo Gozzoli nel Palazzo Medici di Firenze che, salvo la nota orientale dei cammelli, pare una riproduzione fedele di questi viaggi nobiliari. Ci sono anche frequenti immagini di vagabondi medievali: una miniatura tedesca del secolo XIII ce ne fa vedere uno solitario, pero’ ben equipaggiato per il cammino ed il commercio. Va a piedi, con il típico sombrero largo dei camminanti (che cambierà di forma secondo le mode) e un buon tabarro, e trasporta le sue cose nelle sacche di un cavallino, su cui ha anche un sostegno per esporre cinture, fasce, collari ed altri articoli di merceria.
Spostarsi in gruppo é sicuramente più attrattivo per le persone, ma a volte presenta inconvenienti seri per mancanza di agilità, per la impossibilità di superare parti difficili del percorso, per il rischio di non trovare alloggio o viveri per tutti. I viaggi reali erano un esempio di corteo grandioso e affollato, con archivi, parte del tesoro. Per di più, visto che ci si trovava confrontati ai rigori inevitabili del viaggio, il fatalismo ed il desiderio di accorciare il tragitto facevano commettere imprudenze che finivano in catastrofi. E’ molto conosciuto cosa successe al convoglio di Giovanni Senzaterra nelle paludi gallesi che a marea bassa parevano facili, ma le cui sabbie mobili inghiottirono uomini, animali, il tesoro e la famiglia reale.
DENARO, DENARO E DENARO
Viaggiare nel Medioevo costava caro. Dimentichiamo per un momento i pellegrini ed i frati mendicanti dalla borsa vuota, non sono loro i viaggiatori più rappresentativi. In una época caratterízzata dalla mancanza di denaro e dallo scambio in natura, la moneta si usava solo per poche cose. Le cifre disponibili indicano che il viaggiatore spendeva tanto quanto noi oggi, anche se non per le stesse cose, ma che comunque doveva aprire i cordoni della borsa spesso. Per esempio doveva equipaggiarsi e qualcuno lo fa anche per “mostrarsi”, per esibire il proprio stile (vanitoso) e per apparire bene, cosa che apre molte porte. Nobili e borghesi sono ben equipagiati: abiti di lusso, varie calzature, cappelli, cinturoni, borse, selle riccamente decorate, livrea e servi che accompagnano. E questo costa molto.
Viaggiare con la borsa piena aiuta ad alleviare i rigori del viaggio ed appianare i problemi, come vitto, alloggio, barriere doganali con mance e tangenti, servizi medici e veterinari, soldo agli accompagnanti armati e non, fare regali a quelli che li hanno ospitati, fare l’elemosina e lasciare mance. La spesa principale é nelle città dove si concentrano i servizi e le dogane; molte hanno il monopolio di vendita di vettovaglie e bevande ai viaggiatori e lo sfruttano a fondo. Nelle strade più frequentate, soprattutto di pellegrinaggio, i prezzi vanno alle stelle, proliferano gli abusi e le truffe, grazie alla necessità primaria del viaggiatore di nutrirsi e alloggiare ed al fatto che non conosce prezzi e monete locali. Si arriva al banditismo, facendo pagare servizi di guida e poi derubando ed abbandonando i viaggiatori, oppure rubando le cavalcature per rivenderle. La guida di Aymeric Picaud lo racconta bene. Le ruberie di negozianti e locandieri sono molto conosciute nella letteratura jacobea di molte epoche e paesi e l’immagine del taverniere cambista locandiere punito all’inferno appare spesso nei bassorilievi di portici ed archi sui cammini jacobei come monito. Come misura palliativa, i consigli comunali e le signorie fanno esporre o scolpire negli edifici pubblici pesi e misure in vigore sul posto, ma non serve a molto.
Il viaggiatore che parte per terre dove non ha relazioni, deve portarsi tutto il denaro. Se si va in gruppo organizzato, pare che la norma fosse quella della cassa comune con conti giornalieri. I mercanti usano fondi propri, incassi di vendite, lettere di cambio ed altri strumenti di credito.
Un viaggio su lunga distanza, che passi varie frontiere, rende complessa la gestione monetaria. I manuali di commercio hanno una sezione informativa sulle monete in uso e sui rapporti di cambio, anche se poi nella realtà le cose sono molto differenti a causa della speculazione e delle truffe, cosa che rende necessario cambiare in punti sicuri ed autorizzati. In Santiago ed in altri centri dove si accumulano grandi quantità di monete diverse, nasce la figura del cambista che fissa i prezzi dell’oro e dell’argento ed i cambi. Nei fatti, la cosa é abbastanza semplice perché ci sono monete che sono più diffuse di altre: la corona d’oro nello spazio anglofrancese, il ducato veneziano ed il fiorino catalano e fiorentino nello spazio mediterráneo, cosi’ come l’oro e l’argento di buona lega.
Il pellegrino povero, il giramondo, il mendicante, si muovono in altri ambiti, hanno necessità basiche – mangiare, dormire, proteggersi dalle intemperie- a cui altri devono provvedere. Tutti sono obbligati a mostrarsi caritatevoli con i pellegrini (anche sotto la pena di castighi divini spaventosi) e questi, anche se hanno denaro loro, preferiscono mendicare e tenere i fondi per situazioni particolari. La mendicità é la soluzione di emergenza per viaggiatori derubati, perduti o senza più risorse e per marinai abbandonati a terra senza soldo che vogliono tornare alle loro case. I pellegrini vagabondi, autentici professionisti del cammino, operano a volte su incarico e finanziati da altre persone, oppure percorrono l’Europa sostando in monasteri e castelli, ricevendo ospitalità in cambio di storie di santuari e pellegrinaggi in terre lontane. Alcuni lo fanno per sincera motivazione religiosa; altri sono giramondo imperterriti che seguono le vie di pellegrinaggio perché sanno di trovare più porte aperte e più protezione, ma anche perché nei primi secoli medievali i santuari sono la meta e l’attrazione principale con i loro tesori, reliquie e miracoli. Lungo il cammino chiedono l’elemosina ai personaggi illustri o si aggregano alle comitive ricche, avendone denaro, vitto ed abiti.
LE BARRIERE E COME APRIRLE
Attraversare lo spazio medievale – che per molti aspetti non ha frontiere- puo’ convertirsi in una auténtica corsa a ostáculi quando si scontra con la moltitudine di poteri e giurisdizioni in áree geográfiche ridotte: vari sistemi fiscali, régime di privilegi e particolarismi imperante ovunque, egoistiche esclusioni e protezionismo delle comunidatà urbane, mutevoli alleanze politiche. Il viaggiatore in terra straniera non é protetto nei suoi diritti extraterritoriali ed in svantaggio legale di fronte agli abitanti locali e sudditi del paese. Da qui, quelli che sanno e possono si muniscono di alcuni documenti importanti.
La sua identificazióne, non individuale (non esiste un tipo di passaporto), ma come membro di una comunità, e come tale accolto con certe salvaguardie e privilegi. Questa identificazione si materializza con documenti come la carta di vicinato, che il municipio concede ai suoi abitanti se la chiedono per viaggiare. Si cercano anche salvacondotti e assicurazioni, personali e collettive, non sólo in tempo di guerra, ma anche quando si teme un arresto o rappresaglia. Talvolta il sovrano concede al viaggiatore il diritto di fare rappresaglia, facendosi giustizia da solo, soprattutto ai mercanti derubati che non sono stati indennizzati. Nei cammini reali vale anche la carta di marca, più conosciuta nel mondo maríttimo. Si ottengono anche licenze specífiche per il trasporto di alcune mercanzie proibite o d’uso ristretto, le “cose vietate”. Gli accompagnatori e trasportatori di donne, bambini, schiavi ed altri esseri umani incapaci di intendere e di volere, suscettibili di sequestro o tratta, dovranno spesso pagare una cauzióne e produrre un certificato di una autorità púbblica che certifichi l’arrivo a destinazione, sani e salvi. Carte credenziali di ogni tipo, carte di saluti e raccomandazione ai personaggi che detengono il potere e che possono aprire ospitalità nei territori per cui si passerà; certificati concessi ai pellegrini bona fide per distinguerli dai malviventi e rubagalline; lettere di cambio, carte di potestà e procurazioni … sono molti i documenti che il viaggiatore esperto puo’ detenere per facilitarsi il cammino ed evitare problemi giudiziari.
IL VESTIARIO E GLI ACCESSORI DEL VIAGGIATORE
Per viaggiare a piedi, il vestiario tipico del pellegrino non é l’unico, pero’ é il più adatto. Il gran sombrero protegge dal sole e dalla pioggia, la cappa serve eventualmente da coperta per la notte. Se non si ha una bestia da soma o un portatore o se si viaggia leggeri, un sacco in spalla é il più adeguato. Appesa alla cintura portano la borsa, generalmente una scarsella poco sicura, con tante serrature, che pero’ pende dai cordoni che i tagliaborse tagliano con facilità. La zucca vuota si é convertita in simbolo del pellegrinaggio, pero’ tutti usano la borraccia di pelle, facile da trovare nei mercati. E’ importante andare provvisti di vino, perché non sono frequenti le taverne ai bordi del cammino (esiste il monopolio urbano) e soprattutto perché l’uomo medievale non ha nessuna fiducia nelle acque che non conosce, é una preoccupazione ossessiva che deriva dagli oscuri percorsi di epidemie e contaminazioni, come ben evidenzia il Codex Calixtino. L’uomo medievale calza leggero, con calzature poco adeguate per il cammino, che non offrono protezione contro freddo e acqua. Per lunghi percorsi, zoccoli e scarpette non servono; i sandali che alcuni cavalieri usano per il riposo non appaiono spesso ai piedi dei viaggiatori. Invece si vedono con certa frequenza pellegrini e camminanti scalzi, per alcuni é penitenza, pero’ anche per economizzare le scarpe. In un quadro del XV secolo si vedono i pellegrini con bastoni. Molti sono scalzi con le scarpe portate alla cintura. L’auténtico pellegrino viaggia disarmato. Questo requisito non é solo un gesto esteriore di pace e umiltà, ma indirettamente é anche una salvaguardia in circostanze agitate, poiché nessuno puo’ trattarli come potenziali aggressori. Questa é una prática istituzionalizzata in documenti antichi come le ordinanze del re anglosassone Edgar il Pacífico (959-975). Pero’ il viaggiatore non é inerme: il bastone con il suo gancio e la punta ferrata puo’ diventare un’arma temibile in mano ad un uomo forte e deciso. Nessuno poi viaggia senza il suo coltello, strumento polivalente con cui taglia gli alimenti o effettua piccole riparazioni. I viaggiatori abituali, se possono, portano armi o si fanno accompagnare da servitori armati. La lancia e la ascia sono le armi favorite anche perché possono servire per taglaire legna o aprire un passaggio nella boscaglia.
Il cavaliere ha un altro tipo di equipaggiamento, perché gli serve più protezione dal freddo e dal sole ed il cavallo ha bisogno di cure. E’ molto caratterístico il gran sombrero a falda larga, un cappello di feltro e paglia, legato con un fazzoletto contro il vento, ma anche il cappuccio é utilizzato. La cappa del cavaliere é molto ampia per coprire anche il cavallo. A partire dal secolo XII si usa molto la cerata, un cappotto di tela impermeabile cerata: il “Barbour” di allora. I primi erano di fabbricazione francese, importati da Chartres, pero’ nel Basso Medioevo si fabbricano localmente. Sono importanti i guanti, contro il freddo e gelo nel tenere le redini. Il cavaliere porta ai piedi delle calze e delle scarpe leggere, coperte poi da stivaloni di tela grezza o cuoio per proteggere piedi e gambe da rovi ed altri ostacoli.
La sella da monta é fondamentale per gente che passa ore a cavallo ed é diversa da quelle da battaglia. Dal secolo XI, pur con molte varianti e dettagli minori, il tipo básico non cambia: sella con arcioni, larga e pesante, come quella dei cavalieri sudamericani attuali con perno alto per sostenersi nelle forti pendenze.
I MEZZI DI TRASPORTO DI COSE E PERSONE
Tenendo conto della modestia di mezzi della maggioranza e della condizióne di certi cammini, il portatore umano, servitore abituale o affittato ad hoc, sarà una realtà durante tutto il Medioevo, soprattutto nei paesi di montagna, indispensabili per certi passi diffícili che neanche i muli potevano passare. I carichi potevano essere trasportati da due uomini con una pertica o da uno solo, sulle spalle o sulla testa o con un giogo.
I veicoli a ruote si tratta soprattutto di carri, carrette, carrettini (a trazione anteriore e umana questi ultimi) si vedono soprattutto per il trasporto di materiali da costruzione e prodotti agricoli, ma rare volte sulle strade di gran commercio, le persone usano andare a piedi o a cavallo.
Il tránsito su ruote di persone sembra più comune nelle isole britanniche nella prima Età Media (secolo VI) e poco nel Continente. Questo aspetto sarebbe spiegato dal persistere di una buona rete stradale britannica e dal decadere invece sul continente della rete stradale romana. A partire dal secolo XI con la proliferazione di cammini che accompagnano la estensione del popolamento e la maggior antropizzazione del paesaggio, si aprono alcune strade di lungo percorso, soprattutto in Francia. Pero’ in generale i carri non interessavano i mercanti a causa della lentezza e della poca adattabilità al terreno e ai borghi. E’ significativo che i popoli bárbari dell’Est, che li usavano sistemáticamente nelle loro migrazioni ed incursioni guerriere, li accantonano quando si sedentarizzano e si occidentalizzano. Il carro rimane mezzo di trasporto di materiali, infamante per le persone; solo i condannato viaggiano sulla carretta.
La rete viabile é scadente ed i commercianti preferiscono i convogli di muli per il trasporto delle cose.
LE CAVALCATURE
Il più prezioso ausiliario del viaggiatore é un cavallo, un mulo o un asino che lo porta con i suoi bagagli. Si possono anche affittare in punti strategici dei cammini per aiutare a passare punti difficili ed alleviare la fatica quotidiana.L’asino e la mula sono una delle eredità del mondo mediterráneo che si sono estese fino al Nord dell’Europa nei primi secoli del Medioevo. L’universale burrico, modesto, docile, sobrio, più duro e longevo del cavallo, é la cavalcatura più popolare. Piccolo, fácile da dominare e da montare, senza particolari conoscenze ippiche, anche se scomodo, poco caricabile e lento, diventa importante per il viaggiatore. La mula/mulo, senza dubbio meglio adattato per il viaggio ed il carico, riunendo la rusticità dell’asino alle prestazioni del cavallo, é più intelligente e si rifiuta di galoppare, ha il piede sicuro e viene selezionato perché apprezzato da tutti, da chierici e signore come da uomini. Non pensiamo al cavallo medievale esclusivamente come ad un animale di lusso. Nel Medioevo c’erano in Europa molte razze autóctone oggi scomparse con animali piccoli, resistenti, tra cui i favoriti erano quelli del nord, a mezza via tra il cavallo ed il poney, educati ad un passo artificiale, l’amblio o tolt (passo per bípedi laterali, invece che diagonali, rasante e molto comodo). Castrati, ben domati, mansueti e molto resistenti, sono i tipici cavalli da signora del Medioevo, i palafreni. In viaggio i cavalieri possono usarli invece dei loro destrieri interi di origine áraba e spagnola. E’ interessante notare che si cerco’ di sviluppare una razza di cavalli da viaggio nell’abbazia di Einsiedeln in Svizzera per i passi transalpini, l’Einsiedler (oggi con incrocio inglese e da competizione) che dal secolo Xl si esporterà nel Nord dell’Italia, la valle del Ródano ed il sud della Germania.
Le richieste di cavalcature devono anche tener in conto gli aspetti fondamentali del mantenimento e della cura degli animali : la mancanza di veterinari e di maniscalchi, l’incertezza di trovare stalle e foraggio, la difficoltà a trovare cavalli di ricambio. Solo animali duri, ben alimentati ed in perfetta forma possono tenere la lunga distanza. Bisogna saper ripartire gli sforzi, curarli, lasciarli riposare e questo non tutti i viaggiatori improvvisati lo sanno. In molti racconti di viaggio vediamo animali cadere morti al secondo- terzo giorno di viaggio perché condotti da ignoranti, carichi al massimo e fatti andare per 14 ore di fila.
Orzo e avena, secondo le regioni attraversate non si trovano sempre. Il foraggio anche é irregolare, talvolta é paglia di cereali, oppure fieno oppure solo erba dei campi. Una cassetta di medicinali é necessaria, con grandi quantità di sale e aceto. L’aceto é panacea universale, usato come linimento, lozione rinfrescante, antiséttico e cicatrizzante per le ferite; sciacquio per le ferite in bocca mescolato a olio, sale e rosmarino; con sale e salvia come cataplasma per le lesioni ai piedi. La ferratura é pure importante, i ferri sono di materiale tenero e si consumano in fretta, una settimana al massimo. Alcuni usano ramponi, come si vede dalle illustrazioni, fatti dal callo di ferratura, tacco o unghia antiscivolo, utili sull’erba umida e nei pendii. In strada i cavalli devono poter bere con regolarità, e si pone come per gli uomini il problema delle acque improprie, a cui si ovvia con otri pieni d’acqua che in alto dei colli si lasciano poi rotolare in basso, alleviando la fatica. Nei villaggi la figura del veterinario-barbiere, che spesso sono la stessa persona, si prende cura delle bestie. In alcune locande e ospitali di un certo livello la cura di animali e persone é sullo stesso livello. Agli inizi del secolo XII, l’Hospital di Santa Cristina di Sangüesa tiene nella valle d’Aspe prati destinati specificamente a fare fieno per le bestie dei pellegrini. Capítoli delle Cortes e ordinanze municipali comandano ai locandieri e tavernieri che tengano a disposizióne dei viaggiatori stalle e mangiatoie e che gli si venda foraggio e grano allo stesso prezzo che agli abitanti del posto. Le bestie da soma sono spesso cavallini castrati o muli, che sanno andare in convoglio o dietro il cavallo del padrone, diretti da carovanieri esperti, e devono essere scaricati ogni sera e ricaricati ogni mattina con un savoir faire da esperti.
ALLOGGIARSI E MANGIARE
Si é discusso molto del tema dell’ospitalità monástica, degli ospitali e albergues fondati con scopi benéfici. Sappiamo meno invece delle forme più “laiche” di risolvere il problema. L’infrastruttura di locande, insufficiente in certi posti, poteva essere rimpiazzata dall’alloggio in case private. Pare che fosse frequente e sovvenzionato dalle autorità. L’istituzione dell'”ospitalità” opera soprattutto per i mercanti forestieri. L’ospitante offre alloggio, stalle, magazzini, vitto ed anche notizie, contatti ed indicazioni sul posto e sulla regione. Per esempio, a Puebla de Sanabria, punto tappa importante, una parte delle imposte reali é ceduta a chi ospita mercanti. Una possibilità anche per far alloggiare membri della nobiltà e invitati dalle autorità signorili. A Santiago o Pontevedra, l’arcivescovo di Santiago fa’ in modo che i borghesi alloggino cavalieri vassalli e amici, talvolta prendendo in carico una parte delle spese.
Tutti in ogni caso fanno marce forzate per non passare la notte in strada. L’europeo medievale ha una auténtica fobia di dormire sotto le stelle: paura delle tenebre popolate di potenze malefiche, paura delle fiere e dei banditi. L’ora del crepúsculo é davvero angosciante se la fine della tappa non é vicina e si continua a camminare con le torce quando fa buio, tutto per evitare la temuta notte all’aperto.
Pero’ su certe strade non c’é altra soluzione ed allora si organizzano gruppi con grandi tende, cucine e comprando vitto nei villaggi. Al principio del secolo VIII, un nobile anglosassone, Willibald, viaggia verso Roma con un gruppo di famigliari. Vanno a piedi per penitenza, pero’ accompagnati con carri per i bambini ed il bagaglio e dormono in tende. Re e nobili possono permettersi grandi accampate, protetti dalla natura circostante che non li lascia dormire, tanto che non é raro vedere, nei racconti, canzoni o dipinti, i viaggiatori accampati passare la notte raccontandosi storie e bevendo. Devono anche pensare a come le cavalcature passeranno la notte, se legarle o costruire un recinto, e difenderle da eventuali furti.
Altro punto importante, il vitto, si risolveva spesso per la buona sorte. Non si poteva contare sul fatto che tutte le locande o taverne lo servissero, la regola era “mangiare quello che si portava”. Quindi bisognava fare compere e chiedere, pagando, di poterla cucinare nella taverna o su un fornelletto. I nobili cacciavano con falcone nelle terre attraversate sempre dietro permesso ed i signori mangiavano a spese dei loro vassalli. I poveri ed i pellegrini sono sempre accolti e nutriti con semplici pietanze negli ospitali e monasteri, non sempre sufficienti pero’ che aiutano ed i più furbi vagabondi approfittano di quelli che sono ben messi a risorse.
CAPIRSI ALL’ESTERO
Quándo e cóme si impara una lingua straniera, a parte l’universale latíno? Facendo astrazione dei casi molteplici di bilinguismo, dovuti all’accorpamento territoriale o all’emigrazione, il settore dei mercanti deve necessariamente padroneggiare più lingue per poter lavorare. In alcune scuole di grammática, dove si formano i figli della buona borghesia per farne uomini d’affari, si insegna francese ed italiano; si usano anche manuali di conversazione, come oggi, con un vocabolario d’urgenza. Altri giovani fattorini o apprendisti inviati all’estero da famiglia o padroni, ricorrono al vecchio metodo di farsi la fidanzata sul posto, imparare canzoni o frasi fatte. Non é necessario apprendere la lingua di ogni posto attraversato. Le lingue vernácolari europee, dentro le due grandi áree romanza e germánica, costituiscono la base comúne per una specie di lingua franca che quasi tutti riescono a capire. E’ significativo che Aymeric Picaud, tanto attento al fattore “lingua” come índice per definire il grado di barbarie dei territori ispánici, ponga solo un vocabolario elementare in euskera, come testimonianza della “alienità” dei baschi, che detesta, dato che parlano una lingua radicalmente diversa dalle altre. Altri autori di racconti di viaggio o di pellegrinaggio sono più curiosi e sentono a volte la necessità di tradurre foneticamente la parlata locale, finendo per deformare la toponimia, come Finisterre = Estrella Oscura (Finster Sterne), o trasmettendo le canzoni dei donnaioli di strada di Compostela, come William Wey nel 1456.
Il latíno, corretto o maccherónico, continua ad essere la chiave di volta: tra la gente istruita é l’autentica lingua parlata in Europa, familiare nelle sue frasi fatte, persino agli illetterati. Nei grandi centri internazionali, sulle strade di grande affluenza, i locandieri e commercianti sanno una serie di frasi fatte in diverse lingue per catturare i clienti e capirsi. Alcune regole della cattedrale di Santiago della seconda metà del secolo XIII invitano i custodi dell’arca delle elemosine dell’Apóstolo a chiamare ed incitare i pellegrini: ” .. ipse arqueyrus debet dicere Francigenis: “see l’archa de l’obra meo sennor San lanin”, ”See l’obra de la egresa'”, Et Lombardis et Tozcanis debet dicere: “O miçer lombardo, queste l’archa de la lauoree de micer Saiacomin. Questo uay a la gage fay”, Et Campesinis debet dicere: “E uos de Campos et del Estremo acá: ueinde a la archa de la obra de sennor Santiago. Las comendas que trahedes de mortos et de uiuos para la obra de sennor Santiago acá las echade e non en otra parte” (…) Et perdone dicto debet uocare totum peregrinum per totam linguaginem” ….
Frasi fatte che altro non sono che una mistura patetica di tipo “esperanto” mescolato con gallego. I sermoni sono in latino, ma le confessioni possono esserlo oppure c’é un cappellano di lingua o un prete compatriota che possa farlo. In caso di complicazioni o di comunicazione più complessa, si ricorre ad un interprete ed in alcune città importanti e piazze mercantili esistono dei consolati che fanno da intermediari.
CONCLUSIONE
Il saper viaggiare, oggetto della nostra attenzione, poche volte si svolge in condizioni ottimali nel Medioevo. Non erano viaggi di piacere e spesso degeneravano in odissee penose, che impressionano per lo stoicismo con cui si accettavano, come pure le situazioni più dure, a cui né il ricco né il povero potevano sfuggire: incidenti e malattie, furti e violenze, inclemenza del clima. Pero’ il camminante, ferito, infermo, perso, svaligiato ed obbligato a mendicare, continuava tenace ad andare, fino a cadere morto o arrivare alla fine del cammino.